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mercoledì 29 settembre 2010

MARTEDI' 5 OTTOBRE: 4 ORE DI SCIOPERO

L'accelerazione imposta dall'Amministratore Delegato della FIAT dottor Sergio Marchionne all'intero sistema di relazioni industriali del paese, ha posto le condizioni affinché proprio in questi giorni Federmeccanica assieme alle oramai solite note complicità sindacali, ha messo in campo l'attacco più grave al diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a contrattare la loro condizione: il contratto nazionale di lavoro.
L'estensione delle deroghe all'intero settore metalmeccanico frantuma nella sostanza l'istituto contrattuale come elemento solidaristico e di unità dei lavoratori tutti, permettendo così alle imprese il ricatto scambio diritti-lavoro, facendo si che gli investimenti produttivi dovranno essere inevitabilmente legati alla capacità dei vari siti produttivi a rinunciare a salari e diritti, una concorrenza spietata che porterà inevitabilmente al peggioramento degli equilibri sociali dell'intero Paese. Tutto ciò senza che le organizzazioni sindacali che occupano i tavoli della Federmeccanica abbiano ricevuto alcun mandato dai lavoratori. Per questo:

MARTEDI' 5 OTTOBRE 
4 ORE DI SCIOPERO
Per tutte le aziende metalmeccaniche della provincia di Ancona Manifestazione davanti lo stabilimento Fiat CNH di Jesi Comizio conclusivo di GIORGIO CREMASCHI

CONTRO LA CANCELLAZIONE DEL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO E PER AFFERMARE IL DIRITTO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI A VOTARE CONTRATTI E ACCORDI, 
CONTRO L'IDEA CHE PER USCIRE DALLA CRISI BISOGNA SPEZZARE LE VITE DEGLI INDIVIDUI LICENZIANDO O RIDUCENDO I SALARI E I DIRITTI,
PER IL LAVORO COME BENE COMUNE E ATTIVITA' POSITIVA E SIGNIFICATIVA PER SE' E PER GLI ALTRI, OGGI E' TEMPO DI SCEGLIERE!!!!

Lo sciopero si terrà nelle seguenti modalità: 
1'turno ultime 4 ore 
2'turno ultime 4 ore 
3'turno ultime 4 ore
centrale dalle 9 alle 11.30, e l'ultima ora e mezza

ritrovo fuori dei cancelli dello stabilimento alle ore 9 

Vista l'occasione e il convergere di tutte le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici della provincia presso i nostri cancelli invitiamo tutti alla massima adesione e a rimanere fno al comizio conclusivo di Giorgio Cremaschi

Jesi, 29 Settembre 2010 la RSU della FIOM-CGIL

martedì 28 settembre 2010

29 SETTEMBRE:TUTTI I SINDACATI IN LOTTA TRANNE LA CISL E LA UIL CHE PREFERISCONO BERLUSCONI

di Giorgio Cremaschi
Il 29 settembre è la giornata di lotta europea contro le politiche economiche dei governi. L’ha indetta la Ces, la Confederazione europea dei sindacati, e in tutta Europa ci saranno iniziative, scioperi e manifestazioni. A Bruxelles ci sarà la manifestazione centrale che vedrà la partecipazione di tutti i sindacati europei. Tutti meno due: la Cisl e la Uil. Queste due organizzazioni sindacali sono infatti le uniche che non aderiscono in Europa a questa giornata di lotta. E non che nel nostro continente non ci siano sindacati moderati e concertativi. E, tuttavia, tutti – tranne Cisl e Uil – hanno sentito il bisogno di scendere in piazza e di mobilitarsi contro quelle politiche economiche che, in tutta Europa, stanno imponendo sacrifici ai lavoratori in cambio di promesse di crescita e sviluppo. Tutti i sindacati in Europa dicono basta con queste politiche, tranne Cisl e Uil che invece le condividono e che sono diventate le organizzazioni che più sostengono e appoggiano il governo Berlusconi.
Il 29 settembre, d’altra parte, Cisl e Uil saranno impegnate in altro. A concordare con la Federmeccanica la distruzione del contratto nazionale, estendendo a tutti i lavoratori le deroghe e le negazioni dei diritti imposte dalla Fiat a Pomigliano. Tutti i sindacati europei lottano per conservare o estendere il contratto nazionale, Cisl e Uil operano assieme alla Confindustria e al governo per distruggerlo. (...)
Basterebbero questi fatti per rimarcare che oggi in Italia non sono la Fiom e la Cgil ad essere isolate, ma la Cisl e la Uil che sono sempre più lontane da ciò su cui si discute e si lotta in Europa. La subalternità al governo e alla Confindustria di questi sindacati è uno dei principali ostacoli a ottenere in Italia una politica economica che difenda il lavoro e crei un vero sviluppo. Invece grazie alla complicità della Cisl e della Uil, la Confindustria può parlare di patto sociale, mentre naturalmente si prepara a distruggere i vincoli sociali del contratto nazionale. E’ ora che la Cgil, invece che continuare a offrire altre guance a chi ti prende a schiaffoni, capisca che il patto sociale con la Confindustria, Sacconi, la Cisl e la Uil è l’ultimo danno che si può fare ai diritti dei lavoratori, in Italia come in Europa.

Salari: IRES CGIL, potere acquisto perde 5.500 euro in dieci anni

I lavoratori dipendenti italiani hanno perso in dieci anni circa 5.500 euro di potere d'acquisto. E’ questo il dato che emerge dal V rapporto IRES CGIL 'Salari in Italia - 2000-2010: un decennio perduto' presentato oggi dal Segretario Generale della confederazione di Corso d’Italia, Guglielmo Epifani, e dal presidente dell’IRES, Agostino Megale.
Secondo l’analisi dell’istituto di ricerche economiche e sociali della CGIL le retribuzioni, nel corso degli ultimi dieci anni, hanno avuto a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, una perdita cumulata del potere di acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2 mila euro di mancata restituzione del fiscal drag, che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro.
La perdita cumulata calcolata sulle retribuzioni equivale a circa 44 miliardi di maggiori entrate complessivamente sottratte al potere d’acquisto dei salari. Questo spiega perché, nel decennio 2000-2010, le entrate da lavoro dipendente abbiano registrato una crescita reale (quindi al netto dell’inflazione) del 13,1% a fronte di una flessione reale di tutte le altre entrate del -7,1%.
“Una tendenza sconfortante”, quella relativa all'andamento della produttività, dei salari e della redistribuzione dei redditi, “che anno dopo anno si fa sempre più pesante” ha dichiarato il Segretario Generale della CGIL, Guglielmo Epifani, intervenendo nel corso della presentazione. Il rapporto IRES, fotografa una situazione salariale allarmante: “il quadro che emerge - ha precisato Epifani - genera preoccupazioni, soprattutto in una situazione politica economica che vede il nostro Paese in continuo affanno”. La crisi dei salari, secondo Epifani, è la conseguenza di una forte pressione fiscale sulle retribuzione di lavoro dipendente e sulle pensioni “non è più accettabile che il bene più scarso, il lavoro, sia oggi più tassato di altre forme di reddito”, è necessario quindi “un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente, e che sposti la tassazione dai salari e dalle pensioni alle grandi ricchezze e ai grandi patrimoni”.
L'importanza di un 'fisco giusto', di una riforma fiscale è stata ribadita anche dal presidente dell'IRES, Agostino Megale “da dieci anni, il nostro istituto di studi della CGIL, ha acceso i riflettori sulla questione salariale in Italia”. I salari nel 2010 ha dichiarato Megale alla CGILtv (guarda il video) “chiuderanno con un 0,3% sopra l'inflazione”. “Anche nella crisi - ha proseguito - sono aumentate le tasse e questo aumento lordo viene mangiato da una tassazione ulteriore sul lavoro”.

lunedì 27 settembre 2010

  Martedì 5 ottobre 4 ore di sciopero




  È TEMPO DI SCHIERARSI

Oggi la posta in gioco è alta e per tutti è venuto il tempo di scegliere. Ci sono domande a cui tutti devono rispondere. Il lavoro è un bene comune oppure una variabile dipendente, una merce? Le lavoratrici e i lavoratori devono avere diritti, oppure essere schiavi? La democrazia è un elemento irrinunciabile, dentro e fuori i cancelli delle imprese, oppure è un optional?
I parametri della “moderna” competizione sono precarietà, insicurezza, salari da fame, turni massacranti, orari impossibili, fatica, negoziazione dell’intelligenza e del sapere dei lavoratori, oppure qualità dei prodotti, innovazione dei processi, compatibilità ambientale, sicurezza, miglioramento delle condizioni di lavoro e riconoscimento del suo valore?
Noi non abbiamo dubbi, ma presente e il futuro di questo paese non sono e non devono essere un problema solo delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici e della Fiom.
Serve una forte, condivisa, combattiva risposta generale, perché non si realizzi l’obiettivo dell’amministratore delegato di Fiat, del Governo e delle forze che lo sostengono, dell’Associazione degli Industriali e di chi ha scelto di piegarsi ai loro voleri.

Martedì 5 ottobre 4 ore di sciopero
per tutte le Aziende metalmeccaniche della provincia di Ancona (sciopero 4 ore a fine turno salvo diversa indicazione delle RSU aziendali).
Manifestazione a JESI  davanti allo stabilimento FIAT CNH, comizio conclusivo di Giorgio Cremaschi della FIOM Nazionale.
Concentramento alle ore 9 presso la rotatoria della zona  ZIPA (Via dell’industria).

NOI CHIEDIAMO

A chi non si rassegna ai licenziamenti, alla chiusura delle Aziende, alla precarietà, alla negazione dei diritti, al restringimento degli spazi democratici, alla cancellazione del contratto nazionale di lavoro, alla regressione del paese.
A chi si batte contro la distruzione della scuola pubblica, la privatizzazione della sanità e dei servizi essenziali, le pensioni da fame e l’aumento del tempo di lavoro.
A chi difende la Costituzione, la democrazia, la legalità.
A chi rifiuta la logica della competizione al ribasso, quella senza diritti per i lavoratori, senza qualità dei prodotti e dei processi, senza futuro.
A chi pensa che la dignità non si possa comprare (neppure con la master card).

DI RIFIUTARE I RICATTI
DI LOTTARE PER I DIRITTI
IL 16 OTTOBRE A ROMA E OGNI GIORNO
NEI LUOGHI DI LAVORO E NEI QUARTIERI

SEGRETARIO GENERALE FISM, JYRKI RAINA


Caro Maurizio,

A nome dei 25 milioni di metalmeccanici rappresentati dalla Federazione internazionale dei metalmeccanici, FISM, in oltre 100 paesi nel mondo, voglio esprimere incondizionata solidarietà con i nostri fratelli e sorelle per la manifestazione nazionale dei metalmeccanici a Roma il 16 ottobre.

La FISM è con voi nella lotta contro gli attacchi del Governo, di Confindustria e della Fiat contro il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori e la stessa Costituzione.

Sosteniamo inoltre la vostra campagna di denuncia della attuale legislazione relativa all'immigrazione che viola diritti fondamentali dei migranti come cittadini e come lavoratori.

La FISM e i suoi affiliati nel mondo sono con voi nella lotta per i diritti dei lavoratori e lavoratrici ad organizzarsi, contrattare collettivamente, avere lavori di qualità e vivere in una democrazia effettiva.

In solidarietà

Jyrki Raina
Segretario generale FISM





 Dipartimento UAW Chrysler


USA - UAW - International Union Automobile, Aerospace & Agricultural implement workers of America

Presidente, Bob King
Vice Presidente - Dipartimento Chrysler, General Holiefield

Caro Segretario Generale,

Scriviamo per esprimere, a nome del milione di lavoratori e pensionati UAW, **il nostro sostegno e solidarietà con il vostro sindacato e la resistenza agli attacchi ispirati dal Governo, ai fondamentali diritti del lavoro di tutti i metalmeccanici italiani.

L'attuale crisi economica ha messo in luce la necessità di rafforzare la solidarietà internazionale del movimento sindacale. La vostra lotta in Italia, per difendere i posti di lavoro, condizioni di lavoro dignitose, legalità e democrazia, è la stessa lotta che abbiamo di fronte anche qui negli Stati Uniti. E, data la recente alleanza Fiat-Chrysler, è più importante che mai che la UAW e la FIOM-CGIL lavorino in modo solidale.

UAW e i lavoratori americani guarderanno a voi quando, il 16 ottobre 2010, esprimerete la vostra protesta nelle strade di Roma. Auguriamo buona fortuna alla vostra manifestazione pubblica e per la vostra vittoria finale per la giustizia economica e sociale.

In solidarietà

Bob King, Presidente 
General Holiefield, Vice presidente, Dipartimento UAW Chrysler
- Ai Soci della Consulta Nazionale dei CAF

LORO SEDI

Roma, 24 Settembre 2010
Prot. 108/2010
Servizi fiscali n. 082/2010

Oggetto: Detassazione straordinari e lavoro notturno

Vi informiamo che l’Agenzia delle Entrate ci ha appena confermato che la nostra proposta di spostare la gestione dei rimborsi per la detassazione degli straordinari (Ris.83/2010) nel modello CUD 2011 con relativo rimborso nel 730/2011, è stata accolta.
Questa verrà ufficializzata in una risoluzione che l’Agenzia ci ha detto verrà pubblicata lunedì 27/09/2010.



         CIRCOLARE N. 48/E     

OGGETTO: Compensi per incrementi di produttività: lavoro notturno e
                    straordinario e sgravio contributivo

Con la risoluzione n. 83 del 2010 è stato chiarito che può essere assoggettato all’imposta sostitutiva del 10 per cento (anzichè a tassazione ordinaria) anche l’intero compenso erogato per lavoro notturno (e non la sola maggiorazione) e le somme erogate per prestazioni di lavoro straordinario, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c), del decreto-legge n.93 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
La risoluzione ha precisato che per gli anni 2008 e 2009 i lavoratori possono applicare la tassazione più favorevole presentando una dichiarazione dei redditi integrativa o avvalendosi dell’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
La medesima risoluzione ha chiarito che, a tal fine, il datore di lavoro deve certificare l’importo delle somme erogate a titolo di incremento della produttività sulle quali non ha applicato la tassazione sostitutiva per i periodi d’imposta 2008 e 2009.
Le associazioni dei datori dei lavoro, i sindacati e la Consulta dei CAF hanno rappresentato la difficoltà di porre in essere nei tempi ordinari gli adempimenti richiesti - che comportano specifiche attività per ciascun periodo d’imposta - per permettere ai dipendenti la concreta fruizione della tassazione agevolata.
In considerazione della concorde rappresentazione da parte di tutti i soggetti interessati delle difficoltà operative riscontrate nel dar corso ai suddetti adempimenti, si ritiene di poter adottare una procedura che consenta di richiedere, unitariamente per entrambi i periodi d’imposta interessati, il rimborso delle maggiori imposte pagate mediante i modelli di dichiarazione e di certificazione da utilizzare nel 2011 che saranno
opportunamente integrati.
In particolare, il datore di lavoro dovrà indicare nel CUD/2011 le somme erogate negli anni 2008 e 2009 per i conseguimento di elementi di produttività e redditività ovvero per lavoro straordinario assoggettabili a imposta sostitutiva in tali anni; il dipendente potrà recuperare il proprio credito mediante la dichiarazione dei redditi da presentare nel 2011.
Tale soluzione, che consente di contemperare le esigenze di semplificazione con quelle di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria, richiede che il datore di lavoro riporti nel CUD/2011 anche gli importi che eventualmente abbia già certificato al dipendente a seguito della richiamata risoluzione n. 83 del 2010.
Per quanto riguarda, inoltre, i quesiti pervenuti in relazione al regime fiscale applicabile alle somme erogate a seguito dello sgravio contributivo concesso sulle retribuzioni variabili, si fa presente quanto segue.
L’art. 1, comma 67, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, ha introdotto - in via sperimentale per il triennio dal 2008 al 2010 e a domanda delle aziende - uno sgravio contributivo sulle retribuzioni variabili fissate dalla contrattazione collettiva di secondo livello, entro i limiti delle risorse predeterminate.
Le aziende che hanno ricevuto dall'INPS la comunicazione dell’ammissione al beneficio devono restituire ai dipendenti interessati un importo pari ai contributi in precedenza trattenuti.
Le somme restituite, in quanto costituiscono la quota di contribuzione di competenza del dipendente che non è stata inserita nell’imponibile fiscale nel momento in cui il premio è stato erogato, devono considerarsi reddito di lavoro dipendente, così come chiarito con la risoluzione n. 136 del 2005 per una ipotesi analoga.
La medesima risoluzione ha altresì chiarito che l’ammontare della contribuzione recuperata e relativa ad anni pregressi, rientra tra "gli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti" ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera b), del Tuir.
Tuttavia, qualora ricorrano le condizioni per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 10 per cento prevista per i premi di produttività e di risultato, le somme in questione possono essere assoggettate a tale più favorevole regime fiscale, anche se le stesse si riferiscono a premi erogati in periodi di imposta precedenti.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dagli uffici.    

                                                                                     Roma, 27 settembre 2010 

sabato 25 settembre 2010

WCM: Il modello Pomigliano è solo l'inizio


Sui siti della Fiat è indicato che per riorganizzare le sue fabbriche l'azienda fa ricorso al World Class Manufacturing (Wcm), nato - si dice con grande enfasi - dalla collaborazione con i migliori esperti europei e giapponesi. I principi organizzativi del Wcm ruotano intorno all'assunto che per raggiungere l'obiettivo del miglioramento continuo della qualità dei prodotti non sono decisive la tecnologia o le tecniche di produzione, bensì il talento dei lavoratori che devono essere in grado di gestire macchine e processi.
Ecco perché - ed è la vera e profonda innovazione rispetto alla catena di montaggio taylorista - gli operai addetti alle linee devono avere la possibilità di prendere decisioni a livello operativo sulla base dei dati riguardanti i processi di cui sono responsabili. In buona sostanza gli operai possono anche fermare la linea se rilevano un livello di qualità inaccettabile. Il gesto che nella fabbrica fordista era il segno di un punto alto di scontro tra lavoro e gerarchia di fabbrica ora diventa parte del processo di miglioramento continuo della competitività dell'impresa. Per dare avvio al Wcm serve una profonda formazione: gli operai devono essere preparati alle tecniche di gruppo ed alla soluzione dei problemi; i capi devono acquisire un ruolo di influenza/consulenza anziché di autorità e di controllo; gli ingegneri avranno bisogno di un aggiornamento continuo per fronteggiare la rapida evoluzione dei prodotti e dei processi produttivi. Sembra così descritta la prima fase del Marchionne «innovatore» che ferma Pomigliano ed avvia il processo di formazione, discutendo con il sindacato.
Il seguito del processo Wcm deve, però, risolvere il problema che la struttura organizzativa richiede partecipazione, ma anche identificazione totale dei lavoratori con l'azienda. Soprattutto si deve instaurare un rapporto di fiducia tra management ed operai: una volta che l'alta direzione ha definito gli obiettivi strategici deve comunicarli all'intera forza lavoro e coinvolgerla direttamente nel loro raggiungimento. Questa è la seconda fase di Pomigliano, del «prendere o lasciare» al posto della trattativa sindacale, perché nel sistema Wcm lo spazio del sindacato è solo quello di «preservare la competitività dell'impresa e quindi i posti di lavoro». Qui sta il punto: per avere operai «partecipativi» e «combattenti» (soldati di prima linea nella competizione globale) occorre che in fabbrica non ci sia più un sindacato autonomo e con una visione generale dei problemi del lavoro tramutata in diritti e garanzie nel contratto nazionale di categoria. Deve venir meno ogni capacità di controllo sull'organizzazione del lavoro, processo del resto già pericolosamente in atto nel nostro sistema produttivo. Una ricerca realizzata nel 2005 tra le Rappresentanze sindacali unitarie operanti in 130 imprese industriali lombarde, a fronte di cambiamenti nella produzione o nel lavoro, segnalava che le innovazioni erano state gestite nella maggior parte dei casi in modo unilaterale dal «management» collocando il sindacato in un ruolo puramente difensivo, di rincorsa al cambiamento della professionalità e delle competenze di lavoratori.
«Se una fabbrica non è governabile - come chiarisce Marchionne - non ha senso parlare di produzione». In buona sostanza la condizione dei cambiamenti nell'organizzazione del lavoro è la sconfitta del sindacato che permette all'impresa di gestire in modo unilaterale sia schemi partecipativi che intensificazione del lavoro. Pomigliano è solo l'inizio: è un messaggio chiaro, che la Fiom ha ben recepito. Dice a Cisl e Uil che non c'è spazio nemmeno per loro, perché la partecipazione è in «via gerarchia» e non deve interessare il sindacato, che deve solo garantire l'azienda nella realizzazione dei suoi obiettivi. Sfida però anche la Cgil sul terreno della sua autonoma capacità di iniziativa e proposta. Come nel 1983 la Fondazione Agnelli teorizzò che la competizione globale imponeva alle imprese un nuovo modo di lavorare e produrre e per questo occorreva imparare la lezione del '68 (dall'operaio polivalente al gruppo omogeneo), ora spetta alla Cgil (e alla sinistra politica, se vuole uscire dalla sua insignificanza) dimostrare che la centralità del lavoro nei processi produttivi e nella società non è possibile se non si parte da una riconquistata ed innovata capacità di contrattare e da un rafforzamento del ruolo dei delegati e della democrazia sindacale.

La madre di tutte le (contro) riforme di Antonio Lettieri



E’ quella che minaccia di cancellare la contrattazione nazionale, cosa che comporterebbe la rottura del patto sociale di base che riconosce il soggetto collettivo più debole del conflitto. Forse la legislatura è entrata nella sua fase finale, ma il rischio è che si lasci alle spalle un cumulo di rovine


Può essere che la legislatura sia ormai entrata nella sua fase finale. Sarà una fine ingloriosa quanto auspicata nella misura in cui libererà il paese da un governo che non ha confronti nel mondo occidentale. Insieme di destra, populista, illiberale e, soprattutto, un permanente attentato alla Costituzione democratica. Ma, attenzione. Il senso di liberazione rischia di rivelarsi tanto giustificato quanto ingannevole. E’ un  governo che minaccia di lasciarsi alle spalle un paese agonizzante, senza crescita e con una disoccupazione che può esplodere con l’esaurimento progressivo della Cassa integrazione, con la scuola in disarmo, col Mezzogiorno ricacciato nel Terzo mondo.Ma anche questa diagnosi, per quanto allarmante e impietosa, rischia di essere incompleta e perfino fuorviante. Ciò che sta accadendo in questi giorni è la  cosa più grave fra tutte. E’ l’apertura di un processo che minaccia una catena di conseguenze strutturali e di lungo termine che per molti versi potrebbe rivelarsi irrimediabile. E’ l’annuncio della disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici. Non una (contro)riforma fra le altre, un episodio contingente di scontro di classe e l'articolazione di un normale conflitto sociale, che la crisi tende a esasperare. La fine minacciata della contrattazione nazionale, anche se velata da artifici lessicali, è la madre di tutte le controriforme. E’ La rottura del patto sociale di base che riconosce il soggetto collettivo più debole del conflitto sociale. E’ lo svuotamento della solidarietà collettiva come base di auto-riconoscimento, di identità storica, di capacità negoziale nella difesa dei diritti, delle libertà e delle tutele, attraverso la “voce” collettiva di tutti.
Il collegamento di una parte del salario alla produttività o, in termini più generali, alle condizioni di lavoro che differenziano un’impresa dall’altra – la contrattazione articolata a livello di azienda – fa a pieno titolo parte del sistema duale della contrattazione italiana. Ed è, con variazioni secondarie, il modello contrattuale prevalente nelle relazioni industriali vigenti in Europa. Insieme con gli elementi essenziali del welfare, la solidarietà che si esprime nella contrattazione collettiva nazionale di categorie, è l’asse portante del modello sociale europeo. 
Dove, al contrario, come nel sistema americano, la contrattazione aziendale svolge un ruolo non integrativo ma sostitutivo del contratto nazionale, essa assume caratteristiche radicalmente diverse. La natura fondamentalmente unitaria della contrattazione si dissolve nella frantumazione dei diritti, delle tutele, degli elementi di base della condizione salariale in rapporto alla quantità e alla qualità della prestazione lavorativa.

Marchionne non inventa nulla. Vuole semplicemente importare, adottando una strategia ricattatoria, facilitata dal consenso del governo, il modello americano. Quello in base al quale il sindacalismo americano che rappresentava negli anni 70 un quarto della forza lavoro, si è ridotto a una rappresentanza del 12 per cento complessivo che, nel settore privato, scade all’otto per cento dei lavoratori. Come dire che oltre il novanta per cento dei lavoratori dei settori industriali e dei servizi è privo di rappresentanza e di potere negoziale. Un modello distruttivo degli equilibri sociali. Una delle componenti fondamentali dell’esplosione della diseguaglianza sociale che è all’origine della crisi corrente ben prima della crisi finanziaria.
Tra le giustificazioni di questa politica reazionaria, nel senso proprio di ritorno agli inizi del secolo XX, si porta il processo di globalizzazione. Ma la globalizzazione agisce in senso profondamente diverso secondo le politiche industriali e del lavoro che i diversi paesi adottano. Gli Stati Uniti ne sono l’emblema inconfutabile. Nel paese del neoliberismo rampante, l’industria manifatturiera è stata scompaginata e quella automobilistica, che ne era l’emblema, è stata portata al collasso. Come testimonianza rovesciata abbiamo l’industria tedesca, la più efficiente e competitiva del pianeta, con al centro l’industria metalmeccanica – e nel suo ambito l’auto – i cui lavoratori sono riuniti nella IG Metall, il più grande e il più potente sindacato di categoria dell’occidente. La globalizzazione è tanto una realtà quanto un alibi. Esige più regole, più politica, più riconoscimento dei soggetti collettivi, più partecipazione e non meno. Non annulla il conflitto sociale, ma impone di assumerne piena consapevolezza per stemperarlo in una strategia di avanzamento attraverso il riconoscimento dei diritti e dei bisogni fondamentali.

Tony Judt, uno dei più influenti storici e intellettuali contemporanei, nel suo ultimo libro (Ill Fares the Land) –  pubblicato pochi mesi prima della sua morte prematura, nello scorso agosto, scriveva: “Le società sono complesse e comprendono interessi in conflitto. Asserire il contrario – negare distinzioni di classe o di ricchezza o di influenza –è semplicemente un modo di promuovere un gruppo di interessi contro un altro. In passato si trattava di una proposizione auto-evidente; oggi siamo spinti a ripudiarla come un incoraggiamento all’odio di classe” (traduzione di chi scrive).Una lezione, questa, che dovrebbe essere meditata e tenuta presente da chiunque è schierato (o pensa di essere schierato) a sinistra nel campo della difesa del lavoro e del progresso sociale. A partire dal sindacato, la cui divisione non può trovare alcuna giustificazione, se non in una vocazione suicida. Come non trova nessuna giustificazione la sostanziale indifferenza di una grande parte della sinistra, quando non si tratti dell’aperta condivisione, di una parte dei suoi più vociferanti consiglieri.    

venerdì 24 settembre 2010

Siemens:un accordo si aggira per l'Europa


Dino Greco
Ieri abbiamo dato grande e giustificato rilievo all'accordo stipulato dal sindacato tedesco, l'Ig Metal, con uno dei maggiori gruppi industriali al mondo, la Siemens AG, azienda che opera principalmente nei settori dell'automazione industriale, del trasporto ferroviario, dell'illuminazione, dell'energia, dell'informatica e dell'elettronica medicale. Un gruppo che vanta stabilimenti in 190 paesi del mondo, per oltre 400mila dipendenti e con un fatturato di quasi 80 miliardi di euro. L'accordo - come abbiamo spiegato sul giornale di ieri - prevede l'impossibilità di ricorrere a licenziamenti per riduzione di personale, in presenza di situazioni di crisi, senza che il sindacato conceda il suo nulla osta. Ecco dunque il primo punto di capitale importanza: la sovranità sull'occupazione, in Siemens, diventa materia condivisa, non più soggetta ad atti unilaterali dell'azienda, come quelli che nel 2008 la portarono a licenziare di botto 17mila lavoratori, più di 5mila in Germania.
Secondo punto: l'accordo è sì valido - ma non poteva essere altrimenti - per la sola Germania, ma è esteso anche alle "consociate", sicché i lavoratori che ne beneficeranno toccheranno il ragguardevole numero di 160mila. E' l'intero arcipelago del gruppo ad essere coinvolto. Le aziende controllate saranno tutte vincolate alla medesima normativa in materia di salvaguardia occupazionale. Ma cosa accadrà qualora una flessione produttiva, una crisi di mercato dovesse nuovamente generare eccedenze occupazionali, considerato che dopo i primi tre anni di sperimentazione, l'accordo non sarà più revocabile e varrà a tempo indeterminato, divenendo una sorta di cardine istituzionale delle relazioni industriali in quell'azienda?
Questo è il terzo punto di rilevanza strategica. Perchè l'intesa è molto chiara: si ricorrerà a soluzioni alternative alla risoluzione dei rapporti di lavoro, come la mobilità all'interno del gruppo e come la riduzione degli orari. Sì, proprio quell'intervento sul tempo di lavoro che padroni e governi nostrani hanno sempre osteggiato e tuttora considerano una sciagura, preferendo che il mondo del lavoro si divida fra un esercito di disoccupati involontari (scarsamente o per nulla assistiti) ed un'altra parte, ricattabile, impegnata per 60 ore settimanali.
L'accordo contempla poi un quarto impegno formale di Siemens, conseguenza diretta dei precedenti. Quello di non delocalizzare le produzioni all'estero: gli investimenti e gli insediamenti allocati dalla Siemens in terra straniera saranno dunque complementari e non sostitutivi rispetto a quelli operativi in Germania.

sabato 18 settembre 2010

FIAT, PADRONI E BARBONI

 di Loris Campetti

«È un grandissimo giorno per l'auto». Fa impressione quest'inno alla gioia di Sergio Marchionne, cantato mentre le agenzie battevano lanci sul crollo del mercato dell'auto in Europa e sulla pesante perdita di quota dei marchi Fiat. Che c'è da festeggiare?
C'è che «Finalmente l'auto è libera dalle escavatrici e dai trattori». Come se bastasse lo spin-off votato ieri dagli azionisti del Lingotto per far tornare a correre le quattro ruote, quelle Fiat in particolare. Senza modelli nuovi, dove corri? A correre è solo la cassa integrazione, mentre fioccano i licenziamenti per rappresaglia.
La «liberazione» dell'auto dal resto della Fiat può essere letta in molti modi. Uno di questi è che, da decenni la famiglia Agnelli, proprietaria del pacchetto più robusto di azioni Fiat, nell'auto non vuol mettere una lira, è interessata solo alla finanza e ai dividendi. Dividendi puntualmente arrivati anche quest'anno, uno dei peggiori, così difficile che agli operai è stato cancellato il premio di risultato. Ma se la Famiglia non scuce un euro, i soldi vanno cercati altrove. Sui mercati finanziari. E in giro per il mondo dai governi disponibili ad aprire le borse per difendere e incentivare la produzione di auto: Usa, Polonia, Serbia. Meglio fabbricare dove a pagare è lo stato.
E in Italia? In Italia Marchionne fa lotta di classe per convincere qualche buontempone che la lotta di classe non c'è più.
Apre il fonte dei contratti, lavora alla distruzione della Fiom e cerca di convincere tutti che gli unici problemi della Fiat arrivano da Landini che pretende di discutere, contrattare, scioperare. Invece bisogna dare tutto, braccia, testa e diritti all'azienda se si vuole lavorare. Bisogna aumentare la produttività senza aprir bocca. Ma se le fabbriche sono più spesso chiuse che aperte, se la domanda crolla, se per almeno un anno non si avranno segni di vita dai mercati, se per i primi modelli Fiat bisognerà aspettare la fine del prossimo anno, che senso ha pretendere un'organizzazione del lavoro asfissiante, straordinari a gò-gò, abolire scioperi e mensa, cancellare la dignità di chi lavora? Il senso dell'offensiva di Marchionne è chiaro: se e quando ripartirà la domanda, e dunque la produzione, il sindacato dovrà essere stato tolto di mezzo, insieme ai diritti dei lavoratori. Il padrone deve riprendere in mano tutto il potere di comando per guidare la sua nave da guerra - e in guerra i marinai devono remare e anche sparare al nemico, mica riunirsi in assemblea - contro altre navi da guerra. Te la do io la lotta di classe, il Novecento è morto e sepolto.
Dite che esageriamo? Ascoltate allora le parole dell'ammiraglio - e magari in futuro anche armatore - Sergio Marchionne per rispondere a chi gli domanda se è giusto che lui guadagni 435 volte più di un suo operaio: «Intanto la relazione è sbagliata - spiega - perché bisogna fare il calcolo su un salario medio pagato dalla Fiat in tutte le parti del mondo». Va bene, conteggiamo anche gli operai serbi e polacchi. Prosegue Marchionne rivolto a chi lo contesta: «Io vorrei sapere quante di queste persone sono disposte a fare questa vita qui. Domandi quando è l'ultima volta che sono andato in ferie e poi ne parliamo... Si parla sempre di diritti e mai di doveri. Io stamattina quando sono arrivato alle sei e mezza non mi sono preoccupato se i miei diritti erano stati rispettati, sono andato a lavorare». I padroni piemontesi d'un tempo, che Marchionne sembra emulare, esprimevano lo stesso concetto ai loro schiavi con sole 4 parole: 'Ndé a travajé, barbun.

giovedì 16 settembre 2010

OLIGARCHI

Ieri è partita l’ennesima trattativa sindacale tra la Federmeccanica e FIM-UILM-FISMIC-UGL per sancire definitivamente l’idea suicida che per uscire dalla crisi occorre modificare in peggio salari e tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, il tutto condito dallo strappo democratico dove sindacati minoritari decidono per tutti senza alcun mandato e impedendo alle persone di poter dire la loro. Logica vorrebbe che per un momento si fermasse tutto e si chiedesse alle persone se sono d’accordo o no che si modifichi il loro contratto.
Ci domandiamo:

1. Sulla base di quale mandato Fim-Uilm-Fismic-Ugl vanno a trattare con Federmeccanica per estendere il modello Pomigliano a tutto il settore metalmeccanico?
Chi dà mandato a Fim-Uilm-Fismic-Ugl a modificare attraverso deroghe la parte normativa del contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008, votato a maggioranza da tutti i lavoratori dopo una vertenza durata molti mesi?
C’è qualcuno in fabbrica, che è a conoscenza, o ha discusso o votato una piattaforma sindacale contenente tali rivendicazioni?

2. la scelta di svuotare il contratto nazionale per potenziare la contrattazione di secondo livello ( integrativo aziendale) che a detta in particolare della CISL, dovrebbe garantire maggior salario ai lavoratori: possiamo dire che a fronte del saldo di 0 euro che FIAT ha elargito ai lavoratori a Luglio di quest’anno, è una scelta terribilmente sbagliata?

3. E’ normale che sulle vicende che riguardano l’intero Gruppo Fiat e il CCNL, e che hanno visto la complicità delle quattro sigle sindacali protagoniste in peggio su tutti i fronti, non è stata ancora fatta un’assemblea in fabbrica da parte dei loro delegati?
Oltretutto sono mesi che ostacolano ai lavoratori il loro sacrosanto diritto a riunirsi in assemblea, una volta facendoci ricorrere allo sciopero, un’altra alla raccolta delle firme, tre mesi fa inoltre avevano concordato l’utilizzo di 2 ore (una ciascuno) di cui ad oggi non c’è ancora traccia.

Che la parola e le scelte, ritornino alle lavoratrici e ai lavoratori!

p.s. Non abbiamo capito ancora bene chi sia il Grande Timoniere, sappiamo però per certo, chi rèma sempre contro.

Jesi, 16 Settembre 2010 la RSU della FIOM-CGIL

«Me ne vado dalla Cisl, Bonanni ha svenduto i lavoratori» - Letizia Pacifico

Letizia Pacifico è una sindacalista della Fiba-Cisl. Fino a pochi giorni fa faceva parte del direttivo provinciale della sua categoria (bancari). Si è dimessa, dopo venti anni di militanza attiva, in aperta polemica con la politica della confederazione ed ha inviato ai giornali una lettera, di cui qui pubblichiamo una ampia sintesi, spiegandone le ragioni.

In pochissimi anni la Cisl ha spezzato l'unità sindacale indebolendo la classe lavoratrice. Ha reso possibile accordi sfavorevoli ai lavoratori: divieto di sciopero, compressione dei salari, aumento di intensità e durata del lavoro. Accordi che non toccano né gli speculatori, né gli imprenditori che sulla crisi hanno lucrato. L'involuzione sindacale è cominciata con il Patto Italia fino all'accordo separato del 2008 non votato dai lavoratori, continua con il "collegato lavoro" del governo Berlusconi che, attenzione, andrà all'approvazione definitiva la prossima settimana con il silenzio della Cisl. Una legge che sposta radicalmente i rapporti di lavoro a favore delle imprese, limitando fortemente sia le tutele del singolo che la possibilità di intervento della magistratura. Il "si" incondizionato di Bonanni all'arbitrato sul lavoro (marzo 2010) è stato vergognoso. La Cisl ha dimostrato di essere collaterale a governo e Confindustria nel demolire alcuni punti chiave a tutela dei lavoratori. Oggi i fatti di Pomigliano e Melfi sono più che eloquenti: Cisl e Uil hanno aperto la strada alla deroga del contratto nazionale dichiarando che è l'unica soluzione possibile per uscire dalla crisi, nessuna discussione è stata aperta con la base sindacale e sopratutto con i lavoratori. La deroga al contratto nazionale, è vero, non cancella il contratto, (questo è l'ultimo spot della Cisl per sviare e ammansire gli iscritti) ma la Cisl non dice che determina uno svilimento dei diritti - anche quelli sanciti dalla Costituzione. In quest'Italia "corrotta" e con pochi controlli, molte aziende potrebbero dichiarare una crisi inesistente (succede già) e utilizzare la deroga al contratto nazionale solo per moltiplicare i profitti. Il punto è che il segretario Bonanni ha tradito il suo mandato sindacale, perché subordina il lavoro al profitto, sostituisce la cultura della carità a quella del diritto. In questi giorni ha anche dichiarato: "chi non ha lavoro non ha diritti", una ciancia per diffondere tra i lavoratori la cultura della rassegnazione e della sudditanza, esattamente il contrario di quello che hanno fatto i suoi predecessori. Invece di percorre la strada di un sindacato europeo forte, attivo e unito che contrasti i danni di un liberismo sfrenato e senza controllo, crea un sindacato debole, diviso e subalterno alle logiche liberiste. L'idea assurda che si vuol far passare è che per uscire dalla crisi bisogna cancellare diritti e contratti, non è così. Lo stile Bonanni è insidioso: alterna toni concilianti e paternalisti a toni aggressivi e demagogici, demonizza i sindacati che lo criticano e che non firmano accordi. In realtà fomenta pericolosamente il conflitto sociale e sindacale, dichiarando che lo generano" altri". Si tratta di uno gioco sporco che va fermato. Contestarlo è un dovere ma senza lanciargli fumogeni. La mia solidarietà va alla Fiom - oggi l'unico sindacato che dà dignità a questa parola - e che è sempre sotto attacco. Bonanni dopo essere stato contestato duramente alla festa del PD di Torino da parte di precari e ragazzi dei centri sociali ha fatto un indegna dichiarazione: «C'è un'escalation di persone che vogliono parlare con la violenza. La Fiom e anche altri, inaspriscono il clima». Sono dichiarazioni strumentali e irresponsabili di un segretario confederale sempre più indecente le cui insinuazioni dividono e disorientano i lavoratori, mentre resta accomodante con Marchionne e Confindustria. Sono questi gli atteggiamenti, per l'appunto, che "inaspriscono il clima".

Letizia Pacifico

mercoledì 15 settembre 2010

Una penosa sceneggiata


 di Giorgio Cremaschi
L’incontro di oggi tra Federmeccanica, Fim, Uilm e Ugl, è una penosa sceneggiata. Il calendario concordato (...) serve solo a fingere una trattativa inesistente, perché il testo dell’accordo è già stato scritto dalla Fiat e Federmeccanica, e i sindacati complici devono solo sottoscriverlo.
La Fiat non si offenderà se le clausole capestro e le lesioni ai diritti fondamentali dei lavoratori del diktat  di Pomigliano saranno estese a tutti i lavoratori metalmeccanici.
E’ un momento buio della storia sindacale italiana, da cui si può uscire solo rendendo impossibile e inoperante l’intesa che verrà stilata, con tutti i mezzi della democrazia.





                    


15 Settembre 2010

martedì 14 settembre 2010

IL PUGNO DI FERRO DEGLI INDUSTRIALI di Luciano Gallino

Il contratto nazionale di lavoro dovrebbe svolgere due funzioni fondamentali: perseguire una distribuzione del Pil passabilmente equa tra il lavoro e le imprese, e stabilire quali sono i diritti e i doveri specifici dei lavoratori e dei datori.
Diritti e doveri al di là di quelli sanciti in generale dalla legislazione in vigore. La disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici da parte di Federmeccanica compromette ambedue le funzioni, a scapito soprattutto dei lavoratori. Caso mai ve ne fosse bisogno. I redditi da lavoro hanno infatti perso negli ultimi venticinque anni almeno 7-8 punti sul Pil a favore dei redditi da capitale (dati Ocse). Perdere 1 punto di Pil, va notato, significa che ogni anno 16 miliardi vanno ai secondi invece che ai primi. Questa redistribuzione del reddito dal basso verso l´alto ha impoverito i lavoratori, contribuito alla stagnazione della domanda interna, ed è uno dei maggiori fattori alla base della crisi economica in corso.

Quanto ai diritti, sono sotto attacco sin dai primi anni ´90 e la loro erosione ha preso forma della proliferazione dei contratti atipici che sono per definizione al di fuori del contratto nazionale. Per cui lasciano ai datori di lavoro la possibilità di imporre a loro discrezione, a milioni di persone, quali debbano essere le retribuzioni, gli orari, l´intensità e le modalità della prestazione, e soprattutto la durata del contratto.

Si potrebbe obbiettare che il contratto dei metalmeccanici riguarda solo un milione di persone, su diciassette milioni di lavoratori dipendenti. Ma non si può avere dubbi sul fatto che altri settori dell´industria e dei servizi seguiranno presto l´esempio di Federmeccanica. Dietro la quale è sin troppo agevole scorgere non l´ombra, bensì il pugno di ferro che la Fiat sembra aver scelto a modello per le relazioni industriali.

Le conseguenze? Ci si può seriamente chiedere come possa mai immaginarsi un imprenditore o un manager, e come possa sostenere in pubblico senza arrossire, di riuscire a competere con i costi del lavoro di India e Cina, Messico e Vietnam, Filippine e Indonesia, cercando di tenere fermi i salari dei lavoratori italiani mentre li si fa lavorare più in fretta, con meno pause e con un rispetto ossessivo dei metodi prescritti. Magari a mezzo di altoparlanti e Tv in reparto, come già avviene in aziende del gruppo Fiat.

Allo scopo di competere con tali paesi bisognerebbe produrre beni e servizi che essi non sono capaci di produrre, o perché sono altamente innovativi, oppure perché sono destinati al nostro mercato interno. Ma per farlo occorrerebbe aumentare di due o tre volte gli investimenti in ricerca e sviluppo, che ora vedono l´Italia agli ultimi posti nella Ue. Affrontare una buona volta il problema dello sviluppo di distretti industriali funzionanti come fabbriche distribuite organicamente sul territorio, tipo i poli di competitività francesi o le reti di competenze tedesche. Accrescere gli stanziamenti per la formazione professionale, le medie superiori e l´università, invece di tagliarli con l´accetta come si sta facendo.

A fronte di ciò che sarebbe realmente necessario per competere efficacemente con i paesi emergenti, la guerra scatenata da Fiat e Federmeccanica al contratto nazionale di lavoro è un povero ripiego. Che farà salire la temperatura del conflitto sociale. Per di più impoverirà ulteriormente i lavoratori, che così acquisteranno meno merci e servizi, abbasseranno gli anni di istruzione dei figli e dovranno andare in pensione prima perché non possono reggere a un lavoro sempre più usurante. Fa un certo effetto vedere degli industriali che nel 2010, a capo di fabbriche super tecnologiche, si danno la zappa sui piedi. 

lunedì 13 settembre 2010




Nessuna concessione alla Fiat

 L’accordo separato sulle deroghe al contratto delle tute blu per il settore auto “non s’adda fare”. A due giorni dal primo tavolo in materia tra Federmeccanica, Fim e Uilm, il giudizio della Fiom è implacabile: “Si fermi tutto”, ha ammonito da Bologna il segretario dei metalmeccanici della Cgil Maurizio Landini, “si sospendano i negoziati sulla derogabilità e sulla Fiat”. L’invito alla riapertura del dialogo lanciato dal presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, non sembra dunque aver sortito i suoi effetti. La Fiom resta sulle sue posizioni e l’unico “ramoscello d’ulivo” che offre a colleghi e controparte è forse un po’ “tardivo” per lo stato dei lavori: Landini chiede infatti di aprire un “nuovo negoziato” sulle “regole”, che trasferisca ai lavoratori la decisione ultima sulla validità o meno delle intese di categoria. “La nostra proposta – ha affermato il dirigente sindacale intervenendo al comitato direttivo regionale – è che Fim, Uilm e Federmeccanica fermino tutto per evitare accordi separati. Noi siamo pronti a una trattativa per fare un accordo in cui la regola che viene inserita è che la piattaforma, le intese, per essere validi devono essere approvati dalla maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori. Noi questa trattativa – ha continuato Landini – siamo pronti a farla anche subito perché è un po’ singolare che da un lato si fanno accordi separati e dall’altro si dice che si è disponibili a discutere di regole. Si blocchi tutto quindi, si definiscano le regole, poi dopo sarà possibile fare trattative di merito confrontando punti di vista diversi”. In caso contrario la federazione è pronta alla battaglia.
“Se pensano di procedere comunque – ha avvertito il leader della Fiom riferendosi a Fim, Uilm e Federmeccanica – devono sapere che noi non consideriamo legittimi quegli accordi. Per noi il contratto in vigore è quello del 2008” e “non abbiamo nessuna intenzione di accettare altre forzature”. Per questo “metteremo in campo tutto ciò che è possibile – ha proseguito Landini – sia sul piano contrattuale sia sul piano giuridico per difendere i diritti di chi lavora e l’esistenza di un contratto nazionale vero senza deroghe”. Anche perché quello che si sta facendo con il contratto nazionale “è una regressione e un imbarbarimento”. Di cui è causa la Fiat. Secondo la Fiom infatti il Lingotto “usa la crisi economica per cancellare i diritti dei lavoratori” al punto che “quando la crisi non ci sarà più non si avrà più neanche il contratto nazionale”. E in questa ‘guerra’ le tute blu della Cgil vogliono anche l’appoggio incondizionato di corso d’Italia. “E’ necessario che questa battaglia per la costruzione di una opposizione sociale a Confindustria e al governo per cambiare la situazione sul piano contrattuale e sindacale ma anche sociale, diventi nei prossimi giorni non solo la battaglia della Fiom e dei metalmeccanici – ha concluso Landini – ma la battaglia di tutta la Cgil”.”. Intanto, più in piccolo, continua anche la battaglia dei tre operai della Fiat di Melfi licenziati dall’azienda e poi reintegrati dal giudice del lavoro. Il leader della Fiom di Basilicata, Emanuele De Nicola, ha annunciato infatti l’avvio della “Marcia dei diritti e della democrazia” che da oggi e per 4 giorni vedrà protagonisti Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Dopo il presidio davanti ai cancelli della Sofim-Iveco di Foggia, l’iniziativa prevede manifestazioni a Cassino (Frosinone), a Pomigliano d’Arco (Napoli) e a Roma (sotto la sede del ministero della Giustizia). Con un obiettivo dichiarato: “Rivendicare i diritti dei lavoratori, la democrazia, il rispetto delle leggi e delle decisioni della magistratura”, ha chiosato De Nicola.

venerdì 10 settembre 2010

GRAZIE FEDERMECCANICA dI Massimo Roccella

Si deve davvero ringraziare la Federmeccanica per aver cancellato con un colpo di penna le tante sciocchezze circolanti da un anno a questa parte (per la precisione dal 15 ottobre 2009, data della firma dell’accordo separato con Fim, Uilm e altre sigle sindacali minori) e contribuito a recare qualche elemento di solida certezza nel tormentato quadro delle relazioni industriali del più importante settore industriale del nostro paese. Dopo l’iniziativa assunta nei confronti del contratto nazionale unitario del gennaio 2008, in effetti, possono darsi per assodate, in estrema sintesi, le seguenti cose.


Primo. Non era affatto vero, come sinora sostenuto a destra e a manca, che il ccnl del gennaio 2008, ratificato con referendum dai lavoratori e firmato anche dalla Fiom, fosse diventato carta straccia a seguito della firma del contratto separato dell’ottobre 2009. Nessuno infatti si preoccuperebbe di porre in questione la validità giuridica di qualcosa che non esiste. Del resto, è proprio il documento di Federmeccanica a confermare esplicitamente che il contratto del gennaio 2008 è vivo e vegeto e continuerà ad esserlo (almeno) sino al 31 dicembre 2011.
Secondo. Se il ccnl del 2008 è allo stato pienamente vigente ne consegue che vigente non è il ccnl separato dell’ottobre 2009. Federmeccanica, evidentemente, lo considera una sorta di esercitazione accademica, giuridicamente rilevante al più soltanto per gli iscritti ai sindacati firmatari.
Terzo. Essendo in vigore, per ammissione di Federmeccanica, il ccnl del gennaio 2008, esso deve essere applicato integralmente. Dunque, poiché quel contratto prevede il rinnovo della sua parte salariale alla scadenza del biennio, ne consegue che i sindacati che lo vogliano sono perfettamente legittimati a richiedere l’apertura delle trattative per il biennio 2010/2011. Non c’è da meravigliarsi. Probabilmente Federmeccanica è ben consapevole della condizione salariale miserrima dei dipendenti dell’industria metalmeccanica nel nostro paese, almeno quanto Marchionne lo è dell’intollerabilità sociale del rapporto (435 a 1, per chi non l’avesse presente) che corre fra la sua remunerazione annuale e quella media degli operai Fiat: probabilmente da questa doppia, convergente consapevolezza dev’essere originato un irrefrenabile impulso etico a porre rimedio.
Quarto. Il ccnl del gennaio 2008 è pienamente vigente e, naturalmente, in assenza di tempestivo rinnovo lo resterà anche dopo il 31 dicembre 2011. Essendo escluso che Federmeccanica non conosca il contratto che ha firmato, infatti, saprà bene che quel contratto contiene una clausola di ultrattività in forza della quale «in caso di disdetta il contratto resterà in vigore fino a che non sia stato sostituito dal successivo contratto nazionale», firmato, va da sé, dalle stesse parti del contratto precedente: altrimenti i problemi dell’efficacia soggettiva delle nuove regole si riproporrebbero in termini immutati. Per la verità, su questo specifico punto Federmeccanica, mossa dalla umanamente comprensibile intenzione di rassicurare i propri associati, ciurla un po’ nel manico, dando ad intendere che essa non avrebbe fatto ricorso alla disdetta del ccnl 2008, ma all’istituto giuridico del recesso, che avrebbe effetti ben più incisivi. Se con questi giochetti ispirati da qualche dotto azzeccagarbugli, Federmeccanica pensa davvero di evitare che le relazioni industriali del settore affondino in un groviglio di controversie giudiziarie, rischia di prendere lucciole per lanterne; ed aggiungere, come mero invito alla riflessione, che se l’art. 2 del ccnl vigente prevede l’istituto della disdetta, e tace del recesso, una ragione giuridicamente significativa ci sarà.
La lezione che può trarsi dalle vicende dell’ultimo periodo è sintetizzabile in questi termini: «Le parti sociali non hanno capacità legislativa. Fiat, Confindustria, Cisl o Uil non possono fare una legge per dare validità erga omnes ai loro accordi. Possono tentare di applicare gli accordi separati, ma devono accettare il rischio di contestazioni». Chi l’ha detto? Epifani? Landini? Qualche giurista inguaribilmente filo-Cgil? Ma no: sono parole di un autorevole ex-dirigente di Confindustria (Innocenzo Cipolletta sul Sole 24ore del 2 settembre). Purtroppo il nostro paese soffre della presenza di un ministro del lavoro palesemente inadeguato al ruolo e capace solo di attizzare sul fuoco della divisione sindacale. Resta la speranza che almeno le varie forze di opposizione, tanto più in vista di un rovesciamento dell’attuale governo, sappiano porre al centro della propria proposta politica la questione della democrazia sindacale (regole certe in grado di rendere chiaro ai lavoratori chi rappresenta chi e soprattutto per che cosa) come un aspetto della più generale azione necessaria per fermare il degrado della vita democratica nel nostro paese.

Landini al dibattito sul lavoro alla festa FdS

giovedì 9 settembre 2010

COMUNICATO SINDACALE

Nell’incontro odierno avutosi tra la Direzione Aziendale e la RSU di FIM-FIOM-UILM sono emersi i seguenti argomenti.

Confermata la CIGO per il giorno 10 Settembre 2010; sarà impegnata per attività di produzione la sola linea Pianali del reparto Cabine; impegnati inoltre nei diversi reparti per attività diversificate circa 130 lavoratori.

In relazione alla tassazione agevolata del 10% sull’Orario del Notturno, l’Azienda ha comunicato che dal 2008 ha sempre regolarmente applicato quanto previsto dalla Risoluzione n. 83/E del 17-08-2010 emessa dall’ Agenzia delle Entrate, sia in relazione al compenso ordinario che alla maggiorazione per prestazioni di lavoro notturno.
Invitiamo i lavoratori al regolare riscontro sulla Busta Paga o sul CUD tramite il CAF-CGIL, come riportato da comunicato precedente.

Ci è stato inoltre detto che dal prossimo lunedì alcuni addetti dello stabilimento di Jesi presteranno la loro attività lavorativa per un periodo di tempo limitato (al momento fino al 31/12) presso lo stabilimento CNH di Lecce in regime di trasferta.

Il giorno 8 Ottobre si svolgerà una Convention di Plant sul WCM a cui parteciperanno circa 200 lavoratori dello stabilimento tra Capisquadra, Operatori, addetti e rappresentanze sindacali.

Infine, nella prossima settimana si svolgerà un incontro relativo alla Qualità dove saranno affrontate le problematiche emerse nella riorganizzazione avutasi nel reparto Delibera-Revisione-Collaudo; e’ confermata la data del 21 Ottobre per l’incontro all’Associazione Industriali Ancona tra FIAT CNH ITALIA e O.O.S.S. sui piani produttivi futuri.

Da parte nostra sono state sollevate alcune problematiche, che riteniamo opportuno affrontare prossimamente. Una su tutte, la scelta e la necessità da parte dell’Azienda di richiedere al lavoratore un sempre maggiore impegno sul montaggio e sul controllo del pezzo – ne è un esempio l’applicazione del numero di matricola dell’addetto alle postazioni del tratto di linea A2 officina 2 - .
Non possiamo però non mettere in evidenza come a ciò non si accompagni una adeguata valorizzazione delle risorse dello stabilimento, il nostro “saper fare”. Mobilità interna e crescita professionale, da legare ad una Formazione che sia VERA, non sono elementi di contrattazione da ormai troppo tempo. Negare o non vedere questa opportunità di crescita operaia, significa rinunciare alla crescita dello stabilimento domani. Lì, sta la vera sfida.



Jesi, 9 Settembre 2010 la RSU della FIOM-CGIL

mercoledì 8 settembre 2010

COMITATO CENTRALE FIOM

Federmeccanica ha scelto di avviare un confronto con Fim e Uilm per introdurre la derogabilità del Contratto nazionale, per procedure di sanzionabilità dei lavoratori delle Rsu e delle Organizzazioni sindacali, definire norme specifiche per il comparto dell’Auto che recepiscono i contenuti dell’intesa relativa allo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Federmeccanica ha contemporaneamente annunciato che intende comunicare il recesso del Contratto del 20 gennaio 2008.
Il Comitato Centrale considera tale scelta un atto grave e irresponsabile che produce una pericolosa rottura democratica e punta a distruggere l’esistenza del Contratto nazionale che rimane la più importante conquista del movimento dei lavoratori e strumento di giustizia e coesione sociale.

Federmeccanica e Fiat, con il sostegno di Confindustria, hanno deciso con una sommatoria delle  loro posizioni di proseguire nella pratica degli incontri e delle intese separate con sindacati minoritari nella categoria, impedendo alle lavoratrici e ai lavoratori metalmeccanici di decidere sul loro Contratto.

Il Comitato Centrale considera sbagliata e inaccettabile, inoltre, l’idea regressiva della Federmeccanica e della Fiat secondo la quale le imprese italiane per investire e reggere la competizione internazionale hanno bisogno di cancellare il Contratto nazionale, la contrattazione della prestazione lavorativa e di mettere in discussione l’attuale sistema dei diritti. Questo non avviene in nessun altro paese europeo.

Il Comitato Centrale della Fiom considera non più rinviabile la definizione di una legge sulla rappresentanza, rappresentatività e democrazia che riconosca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a decidere con il loro voto sulla validazione delle piattaforme e degli accordi sindacali.

Il Comitato Centrale della Fiom dà mandato alla Segreteria nazionale di avanzare a Fim e Uilm la proposta di sospendere qualsiasi confronto con Federmeccanica per realizzare una consultazione
delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici che verifichi tramite voto referendario l’esistenza di un mandato ad avviare una trattativa sulle sanzioni e sulla derogabilità del Contratto nazionale.

Il Comitato Centrale della Fiom chiama tutta l’Organizzazione al massimo impegno per la riuscita della manifestazione nazionale indetta a Roma per il 16 ottobre 2010, decide in risposta alle scelte di Federmeccanica le seguenti iniziative di mobilitazione e d’informazione nel rapporto con i lavoratori:

• Un pacchetto di 4 ore di sciopero che le Rsu e le Fiom territoriali dovranno articolare per realizzare assemblee nei luoghi di lavoro ed iniziative esterne di carattere pubblico;

• Rivendicare in ogni singola impresa la conferma dell’applicazione del Ccnl del 20 gennaio 2008 fino alla sua naturale scadenza, e ove necessario, dare corso anche alle più opportune azioni giuridiche.

Il Comitato Centrale della Fiom conferma la scelta di presentare la Piattaforma per il rinnovo del Ccnl 20 gennaio 2008 nei tempi, nella forma e con le modalità che saranno discusse e decise dall’Assemblea nazionale dei delegati e delle delegate che la Segreteria nazionale ha mandato di convocare non oltre il mese di gennaio 2011, prevedendo fin d’ora il più ampio coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori.

Tutto quanto sta succedendo (dalla legge Finanziaria, alle leggi sul lavoro, Fiat, precari scuola, blocco Rsu e Ccnl Pubblico impiego, deroghe al Ccnl) si configura come uno dei più gravi attacchi nella storia del nostro Paese ai diritti del lavoro e della Costituzione.

Il Comitato Centrale considera pertanto necessario che tutta la Cgil decida le forme più opportune di mobilitazione generale di tutti i lavoratori dipendenti e pensionati del nostro Paese.

Votazione per documenti contrapposti:
Dispositivo presentato dalla Segreteria nazionale 92 voti.
Dispositivo presentato da Fausto Durante 26 voti.
1 astenuto.

martedì 7 settembre 2010


Patti leonini



L'espressione "patto leonino", che deriva da una favola di Esopo, indica un patto che va a vantaggio di una sola parte dei contraenti, ovviamente quella più forte. Stabilisce dunque qualcosa di sbilanciato, tanto che se ne occupa anche il codice civile, che lo dichiara nullo.

La Federmeccanica, annunciando la disdetta del contratto, ribadisce però la validità dell'accordo del 20 gennaio 2009, quello firmato senza la Fiom-Cgil. Ma c'è chi da tempo considera quell'accordo ormai privo di efficacia, per motivi di fatto e di diritto.

Luigi Mariucci, docente di Diritto del lavoro all'Università Cà Foscari di Venezia, ha osservato in un articolo sulla rivista on line "Eguaglianza & Libertà" che quell'accordo non è stato mai richiamato nei contratti nazionali stipulati in seguito unitariamente da settori importanti come chimici, tessili, alimentaristi, terziario. Vi si fa riferimento solo nel contratto dei metalmeccanici, anche questo senza la firma della Fiom.

Inoltre quell'accordo era stato firmato anche dal governo, non come soggetto "terzo" e garante, sottolinea Mariucci, ma come "parte", in quanto datore di lavoro del pubblico impiego. Ma poi, con la successiva manovra economica, lo stesso governo ha stabilito il blocco per tre anni delle retribuzioni pubbliche, contraddicendo così quella parte dell'accordo che prevede la valorizzazione della contrattazione di secondo livello. Per questi motivi, conclude Mariucci, quel patto dovrebbe considerarsi decaduto.

La Federmeccanica, evidentemente, non ha grande interesse al fatto che vengano disattese norme a vantaggio dei lavoratori. E' verosimilmente assai più preoccupata dalla minaccia di Sergio Marchionne di far uscire la Fiat da Confindustria proprio per evitare di essere vincolata dal contratto nazionale. E la Federmeccanica senza la Fiat avrebbe un peso politico men che dimezzato, oltre a perdere la contribuzione di uno degli iscritti più importanti. Piuttosto che far uscire la Fiat, dunque, meglio uscire dal contratto nazionale

LA DISDETTA DELLA FEDERMECCANICA: UN ATTO IN MALAFEDE CHE APRE LA STAGIONE DELLO SCONTRO SOCIALE



di Giorgio Cremaschi

La decisione della Federmeccanica di disdettare formalmente il contratto nazionale sottoscritto nel 2008 con tutti i sindacati è la dimostrazione della malafede e, nello stesso tempo, della volontà di scontro frontale degli industriali. Disdettando il contratto ora, a molti mesi dalla sottoscrizione dell’accordo separato con Fim e Uilm che avrebbe dovuto rinnovare il contratto nazionale, la Federmeccanica dimostra che aveva ragione la Fiom quando sosteneva che il contratto del 2008 era ancora in vigore. Non si può disdettare una cosa che non esiste più. 
Nello steso tempo con questa scelta la Federmeccanica dà l’avvio all’attacco finale al contratto nazionale.
Solo pochi illusi potevano pensare che con Pomigliano si affrontasse una situazione particolare. Come hanno mostrato queste settimane da Pomigliano è partito l’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei lavoratori, alla stessa Costituzione della Repubblica. (...)
Quella della Federmeccanica è una scelta eversiva senza precedenti a cui si dovrà rispondere sia sul piano legale, sia sul piano del più diffuso conflitto sociale. Anche se gli effetti formali di questa disdetta sono rinviati nel tempo, visto che il contratto resta comunque in vigore fino al 2012, quelli politici si dispiegano subito. Dimostrano che gli industriali italiani vogliono competere con i paesi a più basso costo del lavoro, senza investimenti, tagliando diritti e salario. Non solo la Fiom, ma tutta la Cgil, tutti gli spiriti liberi e le forze democratiche del paese, devono opporsi alla distruzione del contratto nazionale voluto da Marchionne, dal Governo, dalla Confindustria e dalla Federmeccanica. 
L’epoca delle parole è finita, adesso si deve passare ai fatti con il massimo del rigore e dell’intransigenza nella mobilitazione.

Contratto metalmeccanici. Landini (Fiom): “Da Federmeccanica decisione grave e irresponsabile. Il Comitato centrale di domani assumerà le decisioni necessarie”

Il Segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione.

“Quella assunta oggi da Federmeccanica è una decisione gravissima e irresponsabile, che lede i principi democratici del nostro Paese. Si decide, infatti, di cancellare il Contratto nazionale di lavoro, in accordo con sindacati minoritari e impedendo alle lavoratrici e i lavoratori di potersi esprimere sul loro contratto.”
“Si tratta di una violazione delle regole e della rottura dei principi democratici alla base degli equilibri sociali.”
“Per la Fiom, l’unico contratto in vigore rimane, sotto ogni punto di vista, quello del 2008 firmato da tutti e votato dalle lavoratrici e i lavoratori.”
“Domani il Comitato centrale della Fiom assumerà tutte le decisioni necessarie.”



giovedì 2 settembre 2010

CONFERENZA STAMPA FIOM



A Melfi la democrazia si ferma ai cancelli




Se uno vuol capire cosa significa la definizione di «sindacati complici» (la cui paternità risale al ministro anti-lavoro Maurizio Sacconi) basta guardare quel che è successo ieri, alla Fiat Sata di Melfi. Un'assemblea per spiegare a tutti i lavoratori cosa sta succedendo tra l'azienda e tre di loro è stata impedita con il concorso decisivo di Cisl, Uil, Ugl e Fismic, che hanno trasformato un'occasione di democrazia in una querelle burocratica degna del peggior ceto politico...
L'assemblea era stata convocata dai delegati rsu di Fiom Cgil, Cub e Failm sulla vicenda dei tre licenziati con l'accusa di aver volontariamente bloccato la produzione durante uno sciopero, pienamente scagionati dalla ricostruzione fatta in tribunale e quindi reintegrati in fabbrica con sentenza del giudice. L'azienda pretende però di tenerli fuori dai reparti. I tre chiedono di tornare al loro lavoro, non di girarsi i pollici in stanzetta sindacale, per quanto pagati fino al 6 ottobre (giorno del ricorso Fiat in tribunale). Si sarebbe parlato anche di «Fabbrica Italia», «modello Pomigliano», deroghe al contratto» chieste non solo dalla Fiat ma ormai da tutta Federmeccanica (e a seguire, facile previsione, da tutta Confindustria). Secondo il contratto nazionale, il diritto di convocare «assemblee retribuite» spetta alle rsu aziendali, a maggioranza.
A Melfi i metalmeccanici Cgil sono «soltanto» il primo sindacato, ma non hanno la maggioranza assoluta. Si era fatto però affidamento sull'«accordo tra gentiluomini», sull'importanza oggettiva dello scontro in atto e sul fatto che nello stabilimento non se fanno da almeno otto mesi (6 ore e 50 minuti ancora inutilizzati, dopo che già lo scorso anno erano state «regalate» ore all'azienda)). La Fiat stessa non aveva trovato da eccepire, dopo che ben quattro richieste avanzate in precedenza erano rimaste senza risposta. Forse consapevole di rischiare un'altra denuncia per «comportamento antisindacale», si era limitata a segnalare - con una nota scritta - in suo consenso se «la maggioranza della rsu» non si opponeva. Detto fatto: niente assemblea, ma una «riunione» della rsu domani per «decidere come condurre un'assemblea con 5.000 persone». Un evento davvero inusuale, per dei sindacalisti all'oscuro del fatto che quei 5.000 vanno divisi su tre turni. Le lettere «anti» erano addirittura due: una che parlava di questa riunione, l'altra che «spostava» l'assemblea a data da definire. Se uno ha l'abitudine e l'interesse per la democrazia...
Dalle motivazioni portate dai rappresentanti di Fim-Cisl e Uilm, in effetti, si capisce che i lavoratori in carne e ossa si preferisce non incontrarli. Per Vincenzo Tortorelli, segretario Uilm regionale, infatti, «è capitato più volte che siamo stati attaccati durante un confronto democratico». Antonio Zenga,collega Cisl, batte sullo stesso tasto: «vogliamo evitare assemblee che devono essere sospese perché dirigenti sindacali contestano e non fanno parlare altri colleghi». Insomma, dipingono un quadro interno quasi da anni '70, con platee tumultuanti e loro presi di mira dagli «estremisti». Un autentico controcanto alle accuse dell'azienda, ripetute a Rimini da Marchionne. Nella foga del voler corrispondere ai desiderata aziendali, al dunque, non si accorgono di dipingere se stessi come un'entità estranea (se non addirittura ostile) agli interessi dei lavoratori.
Come fanno notare diversi delegati Fiom, «l'assemblea è un diritto dei lavoratori, non dei sindacati». Annullarle di fatto - perché non vengono convocate, o addirittura si impedisce ad altri di farlo - è un «dispetto» a loro, non a una sigla concorrente.
Le tre assemblee previste a fine o inizio turno - presente il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini - si sono perciò trasformate in un presidio all'inizio del secondo turno, con tanto di sciopero di un'ora per poter incontrare gli operai. Com'è ovvio in casi del genere, la partecipazione è stata più ristretta (circa 200 lavoratori) e non ha potuto coinvolgere la totalità (800, al reparto montaggio). E proprio questo era l'obiettivo di chi - azienda e/o sindacato - ha voluto impedire l'assemblea generale.
Perché il problema vero è esattamente questo: oltre ai tre licenziamenti, i lavoratori di tutto il gruppo Fiat sono aggrediti da un progetto di ristrutturazione generale che ne mette radicalmente in discussione diritti, norme contrattuali (ben 8 «deroghe» ognuna delle quali disegnerebbe già da sola un altro vivere in fabbrica). I sindacati «aziendalisti» - accusano diversi delegati - non hanno fin qui fatto neppure un volantino da appendere in bacheca. Tutta l'informazione sul proprio futuro, quindi, dipende dal lavoro di chi cerca di metterli al corrente dei fatti, giorno per giorno, persona per persona. Un'assemblea retribuita» (come da contratto, si diceva) permetterebbe a tutti di sapere cosa sta accadendo. Chi si oppone, quindi preferisce di fatto il silenzio. L'ignoranza che lascia il lavoratore da solo, nella debolezza più assoluta.
Tra le cose che stanno cambiando c'è anche il contratto. Fiat ne vuole uno tutto nuovo per l'auto (sagomato sul «modello Pomigliano). Con una curiosa contraddizione: nel prossimo consiglio di Federmeccanica, martedì prossimo, il Lingotto dovrebbe disdettare il contratto unitario del 2008 (firmato anche dalla Fiom), riconoscendolo quindi tuttora in vigore. Ma «chiede deroghe» che sarebbero invece discutibili secondo il «contratto separato» firmato solo dai «complici». Chi è che «non rispetta gli accordi sottoscritti»?