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martedì 11 maggio 2010

LA VITTORIA DI BONANNI NEL CONGRESSO CGIL di Giorgio Cremaschi

Va dato atto a Guglielmo Epifani di avere, nelle sue conclusioni al XVI Congresso della Cgil, chiarito seccamente i dissensi con la mozione 2 e con la maggioranza della Fiom. Naturalmente si può sempre rimarcare il fatto che solo alla fine del percorso congressuale le differenze siano state riconosciute come tali. Per gran parte del congresso, invece, esse sono state negate dalla maggioranza, che ha preso i suoi voti anche in nome dell’unità della Cgil di fronte a una divisione considerata incomprensibile. Meglio tardi che mai, ma ovviamente non è lo stesso che se gli iscritti fossero stati messi dall’inizio di fronte alla scelta che è stata chiarita alla fine. (...)
Guglielmo Epifani ha detto che su due punti di fondo in Cgil ci sono linee diverse. Il primo riguarda il giudizio e le scelte da compiere rispetto all’accordo separato sul sistema contrattuale, il secondo la questione dell’unità e il suo rapporto con la democrazia sindacale. Accanto a questo il segretario della Cgil ha sottolineato come le differenze si siano anche tradotte in scelte e comportamenti diversi, con categorie che hanno fatto accordi unitari e non hanno rivendicato la democrazia sindacale e altre, a partire dalla Fiom che invece hanno subito accordi separati e rotto con Cisl e Uil.
Ora il congresso ha scelto e lo ha fatto non solo con gli interventi, ma con gli umori, i fischi prima, gli applausi dopo. Il congresso ha scelto di aprire alla Cisl, alla sua linea politica, al suo modello sindacale e di considerare di conseguenza l’esperienza della Fiom un elemento minoritario con cui fare i conti anche statutariamente. La Cgil abbandona così la posizione politica e sindacale assunta nell’ultimo decennio. Quella per capirci che accompagnava i momenti di unità con Cisl e Uil a una linea autonoma di iniziativa lotta. La Cgil rompe con questa fase decennale e sceglie di ritornare nel carro di Cgil, Cisl e Uil.
Questo nel nome della necessità di fare gli accordi, di evitare conflitti fini a sé stessi, con la paura dichiarata più volte di restare nell’angolo. E’ significativo che l’applauso più caloroso raccolto da Epifani nelle sue conclusioni sia stato quando egli ha condannato i conflitti che durano troppo a lungo senza risultati.
Una storia si conclude, quella che ha visto la Cgil assumere una funzione di punto di riferimento dell’opposizione sociale del paese. Questo ruolo è stato esplicitamente rifiutato perché, si accusa, confinato in una sterile resistenza. Ora la Cgil si prepara a ricostruire i rapporti unitari con Cisl e Uil e, sulla base di questi, a trattare con il Governo e con una Confindustria che non è mai stata citata, né nel bene né nel male, negli interventi del segretario generale.
Una linea di questo genere potrebbe avere un senso se fossimo alla vigilia , o dentro, una grande ripresa economica. Accodarsi al moderatismo di Cisl e Uil nel momento in cui le fabbriche assumono e i salari crescono perché tutta l’economia riparte, potrebbe essere una scelta opportunistica, ma realistica. La realtà, però, è che la crisi si aggrava e lo fa soprattutto nella sua dimensione sociale. L’Europa interviene a sostegno dei bilanci della Grecia e degli altri paesi a rischio, ma chiede sacrifici umani sul piano delle politiche sociali contrattuali e dei diritti. In più l’Italia è percorsa dalla follia del federalismo che, in un momento di crisi, significa inevitabilmente frantumazione e secessione. Una Cgil che proprio in questo momento decide di moderarsi e ridimensionarsi è quanto di peggio può capitare al mondo del lavoro nella crisi sociale. In questo senso la svolta del congresso è un puro atto di irrealistica debolezza, che accrescerà l’arroganza delle controparti e la tentazione in Cisl e Uil di far pagare al più grande sindacato italiano tutte le scelte del passato.
Il fatto che questa svolta moderata si accompagni a un irrigidimento autoritario dello Statuto, che nei fatti ripristina il centralismo democratico nella formazione delle decisioni più importanti, segnala che la maggioranza dell’organizzazione vive la propria svolta in una condizione di disagio e incertezza.
Per la prima volta da dieci anni la Cgil dice esplicitamente alla Fiom: “Dove c’è la Fiom non c’è la Cgil” e questo prepara momenti difficili, sia per i metalmeccanici sia per tutte e tutti coloro che intendono opporsi a come viene gestita la crisi oggi.
In ogni caso questa è la svolta e con essa bisogna misurarsi. La mozione di minoranza e la maggioranza della Fiom hanno ora di fronte a sé una responsabilità rilevante. Possono accettare questa deriva e gestirla il un piccolo cabotaggio della contrattazione nei e dei gruppi dirigenti. Oppure, come hanno fatto votando contro alle conclusioni del congresso, possono rivendicare esplicitamente un'altra linea di opposizione e resistenza sociale e organizzarla nel dissenso esplicito con la maggioranza.
Il vero vincitore del congresso della Cgil è il segretario della Cisl Bonanni. Sta ora alla minoranza organizzarsi in maniera tale da far sì che le contraddizioni di questa vittoria emergano rapidamente.


Roma, 11 maggio 2010

SALARI: OCSE, QUELLI ITALIANO TRA I PIU' BASSI DEI TRENTA PAESI MEMBRI

I salari netti dei lavoratori italiani si collocano al 23° posto, dopo quelli di Spagna e Grecia. FMI ripresa lenta e disomogenea per l'Italia.
CGIL, dati OCSE confermano la validità della nostra richiesta per un ‘fisco giusto’
11/05/2010
I salari italiani tra i più bassi nella classifica dei Paesi OCSE. L'Italia si colloca per gli stipendi al 23° posto, con guadagni inferiori al 16,5% rispetto alla media dei trenta Paesi che fanno parte dell'organizzazione di Parigi. I dati sono riferiti al 2009 e l'Italia si trova nella stessa posizione dell'anno precedente. E' quanto risulta dal Rapporto 'Taxing Wages' dell'OCSE.

“Da mesi chiediamo al governo un piano triennale di riforma fiscale per ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni: oggi l’OCSE, collocandoci con i salari netti dietro la Grecia e al ventitreesimo posto, conferma la validità della nostra richiesta per un ‘fisco giusto’”, lo afferma il Segretario Confederale della CGIL, Agostino Megale, in merito al Rapporto.

Dall'analisi dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico emerge che, in media in Italia, un lavoratore single senza carichi di famiglia ha avuto nel 2009 un salario annuale netto di 22.027 dollari, rispetto i 26.395 della media OCSE. Ancora più forte il divario rispetto alla media dell'Unione Europea, dove la media dei salari è di 28.454 dollari (25.253 per la UE-19). Nel caso di un lavoratore con famiglia mono-reddito, con a carico coniuge e due figli, il salario netto degli italiani sale a 26.470 euro.

Per Megale i dati OCSE confermano due aspetti ‘pesanti’ della crisi: “il primo, i salari netti reali dei lavoratori italiani restano tra i più bassi dei trenta paesi in classifica anche nel mezzo della crisi, a conferma dell’assenza di un sostegno ai redditi da lavoro finalizzato a stimolare la ripresa; secondo, il dato medio nasconde una parte di lavoratori in CIG o, peggio, senza più lavoro, lasciando così immaginare che perderemmo altre posizioni in classifica se tenessimo conto della platea reale”. Considerazioni che, precisa Megale, “non possono che portare ad un’unica soluzione: è sempre più indispensabile sostenere i redditi netti per riprendere la via di una ripresa solida e potenzialmente rapida”.

Intanto il Fondo Monetario Internazionale registra per l'Europa una ripresa moderata e disomogenea, in cui il PIL italiano crescerà nel 2010 dello 0,8% a fronte di un'inflazione dell'1,4%. Il rapporto deficit-PIL italiano si attesterà al 5,2%, rendendo così il nostro Paese uno dei più virtuosi d'Europa: il deficit-PIL di Eurolandia, infatti, risulterà pari al 6,8%. Nel suo Regional Economic Outlook, l'FMI invita i Paesi UE a risanare il debito pubblico nel medio termine, e rileva che c'è bisogno di coordinamento nelle exit strategy, soprattutto nell'area euro, in cui il Patto di Stabilità e Crescita può essere di aiuto in questo senso. Il PIL dell'area euro previsto in crescita dell'1% nel 2010 e dell'1,5% nel 2011, con Francia (+1,8%) e Germania (+1,7%) a spingere la crescita.

“E sulla crescita si gioca tutto - spiega il dirigente sindacale -. Il rigore dei conti è necessario ma va detto con chiarezza che il governo si è ‘mangiato’ un avanzo primario pari a 45 miliardi. Il saldo primario, che l’attuale governo ha portato dal +2,5 del 2008 (38,6 miliardi) ad un disavanzo del -0,6 nel 2009 (-9,5 miliardi), non può essere recuperato tagliando la spesa ma scommettendo sulla crescita e sulla lotta all’evasione. Le stesse previsioni del FMI di oggi indicano una crescita inferiore per il nostro paese nel 2010 rispetto a quella prevista dal governo nella RUEF, il che - conclude Megale - probabilmente richiede una qualche chiarezza in più sui conti”.