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mercoledì 28 luglio 2010

Fiat. Landini (Fiom): “All’Azienda chiediamo di riaprire il confronto e la trattativa sindacale sul futuro di tutti gli impianti”

“Come sindacato, difendiamo i lavoratori che vivono del loro stipendio. Perciò, per noi, il fatto che la Fiat investa in Italia per rafforzare la produzione e l’occupazione è un fatto essenziale. È quindi necessario superare la distinzione ipotizzata da alcuni secondo cui ci sarebbe chi vuole gli investimenti e chi no.”
“L’Amministratore delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne, chiede che si rispettino gli accordi. Però la Fabbrica Italia, come lui stesso ha precisato, non è un accordo ma un progetto messo a punto dall’Azienda. Quindi può essere modificato di continuo dall’Azienda stessa, creando incertezza tra i lavoratori sul loro futuro. Ciò ha inevitabilmente delle ricadute negative. Sottolineo, infatti, che l’affidabilità è sempre reciproca. E vorrei ricordare che il sindacato, finora, non ha mai disdettato gli accordi. Qualcun altro lo ha fatto.”
“Osservo, poi, che Marchionne sbaglia quando dice che su Pomigliano, da parte nostra, non sono state fatte proposte alternative. Abbiamo detto che, a partire dal rispetto del Contratto nazionale e delle leggi vigenti, era possibile affrontare il problema della produttività. Ma nessuno ci ha mai risposto. In tante aziende abbiamo fatto accordi in grado di garantire un miglior utilizzo degli impianti. Alla Fiat chiediamo dunque di riaprire il confronto e la trattativa sindacale sul futuro di tutti gli impianti, a partire da quello di Pomigliano.”
“La Fiom non è disposta a lasciar passare l’idea che, per investire in Italia, si debbano fare delle deroghe rispetto ai diritti sanciti da leggi e contratti. Ancora più grave sarebbe se questa vicenda andasse a intaccare l’intero sistema della contrattazione nazionale di categoria.”
“Aggiungo poi che, per migliorare il clima del confronto, riteniamo utile che l’Azienda ritiri i licenziamenti effettuati a Melfi e a Mirafiori. Per quanto riguarda la chiusura di Termini Imerese, chiediamo alla Fiat di agevolare il subentro di un’altra Azienda che, come da noi auspicato, sia un’impresa intenzionata a produrre autovetture.”
“Per quanto riguarda il Governo, voglio ribadire che non sta facendo quello che fanno i Governi degli altri Paesi. Tali Governi, di fronte alla crisi economica globale, fanno politica industriale e la fanno non a parole, ma utilizzando denaro pubblico.”
 LA REPUBBLICA DELLE BANANE FA IL SUO ESORDIO AL LINGOTTO

Anche quest’ultima di Marchionne non è certo una idea nuova.
Fu Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat negli anni della persecuzione antisindacale del dopoguerra, a pensare a un contratto dell’auto. A tale scopo organizzò la scissione nella Cisl - oggi non ce ne sarebbe bisogno - e promosse la costituzione del Sida, sindacato dell’auto oggi diventato Fismic. A Valletta questa operazione non riuscì. Nell’Italia arretrata e povera delle grandi contrapposizioni sociali e politiche, tutto il sistema impedì lo sganciamento della Fiat dal contratto nazionale. Oggi, in condizioni peggiori di allora, visto che Valletta pensava di fare un contratto privilegiato per i lavoratori Fiat e non low-cost come Marchionne, pare che l’amministratore delegato della Fiat possa agire incontrastato. Il più grave attacco ai diritti dei lavoratori italiani dal 1945 ad oggi, che mette in discussione in Fiat e in tutta Italia il contratto nazionale e i diritti costituzionali del lavoro, viene presentato come una intelligente manovra di un bravo manager capace di muoversi nella globalizzazione. (...)

Tutti gli umori critici verso la finanziarizzazione dell’economia, verso il liberismo selvaggio, verso l’assenza di regole nel movimento dei capitali, tutto ciò che si diceva quasi unanimemente dopo l’esplodere della grande crisi finanziaria di due anni fa, pare improvvisamente dimenticato. Siamo tornati all’esaltazione acritica dell’impresa multinazionale e dei suoi interessi e per l’Italia l’unico futuro industriale è quello fondato sulla competizione sui bassi salari e sugli orari flessibili. I riferimenti diventano la Serbia e la Polonia e non certo la Germania o la Svezia. E’ una gigantesca regressione del modello economico e sociale che si propone al paese, che necessariamente diventa anche regressione del pensiero.
Non è solo la stampa compiacente ad esprimersi su questa lunghezza d’onda. Il sindaco di Torino, Chiamparino, ha lamentato che il sindacato è ancora indietro di trent’anni. E così non si è accorto di rinverdire una tradizione di primi cittadini totalmente subalterni alla Fiat, che in quella città è molto più antica. Il ministro Sacconi, che sul piano delle relazioni sindacali ha lo stesso equilibrio del ministro Alfano rispetto alla magistratura, convoca un raffazzonato incontro a Torino che denuncia prima di tutto l’incapacità del governo di convocare l’azienda nelle sedi istituzionali ove si dovrebbe discutere di politiche industriali. Cisl e Uil si dichiarano disposte ad accettare quella nuova società - intanto per Pomigliano e poi si vede - che dovrebbe rendere legalmente vincolante lo strapotere dell’azienda sulle condizioni di lavoro. E con eccezionale sprezzo del ridicolo, affermano che comunque intendono salvaguardare il contratto nazionale. L’opposizione ufficiale, che aveva spiegato al mondo che Pomigliano era un’eccezione, ora balbetta frasi incomprensibili.
Le uniche posizioni chiare sul campo sono quelle di Marchionne da un lato e della Fiom dall’altro. L’amministratore delegato Chrysler-Fiat ha scelto di fare del suo gruppo un’impresa che insegue finanziamenti pubblici, salari bassi e supersfruttamento in giro per il mondo e che riserva all’Italia solo una piccola e arrogante parte dei propri interessi.
La Fiom, accusata di estremismo e massimalismo, assume in realtà posizioni che solo fino a pochi anni fa sarebbero state patrimonio della grande maggioranza delle istituzioni, delle forze politiche, dei poteri democratici. L’incredibile acquiescenza che c’è oggi verso una Fiat che ha semplicemente detto che vuol fare quello che vuole, quando vuole, per far guadagnare di più amministratore delegato e azionisti, alla faccia del lavoro, dei contratti, della Costituzione; questa libidine di servitù verso la Fiat è il segno più evidente della crisi della democrazia italiana.
La sceneggiata che oggi verrà rappresentata a Torino, ove la prepotenza dell’azienda si misurerà con impotenza delle istituzioni, è la rappresentazione della regressione civile e politica e istituzionale del nostro paese.
La repubblica delle banane, che è sempre facile individuare nelle imprese di Berlusconi, ha oggi una sua sede costituente primaria al Lingotto di Torino.

Giorgio Cremaschi