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giovedì 29 luglio 2010


Marchionne vuole tutto



 Nuovo incontro Fiat-sindacati e nuovi diktat: in tutte le fabbriche come a Pomigliano sennò niente investimenti. Solo la Fiom resiste
Venti miliardi di investimenti nella Fabbrica Italia, ma alle condizioni di Marchionne. Quelle note, contenute nell'accordo separato di Pomigliano che cancellano il diritto di sciopero e sanzionano lavoratori e sindacati che decidano di insistere nell'errore. Quelle che penalizzano la malattia in nome della lotta all'assenteismo, riducono le pause fino a cancellare quella per la mensa spostata a fine turno. Un «accordo» imposto con un referendum ricattatorio (parola che manda su tutte le furie l'amministratore delegato della Fiat, nonché presidente della newco di Pomigliano d'Arco) deve diventare legge in tutte le fabbriche automobilistiche italiane. Su questa base l'incontro di ieri a Torino, il primo di una serie che coinvolgerà tutti gli stabilimenti, non poteva che finire male. Come sempre l'opposizione e la richiesta di ridiscutere a un vero tavolo di trattativa il modo per aumentare la produttività e i turni senza cancellare leggi, contratti e Costituzione è arrivata da una parte sola, la Fiom, e ha trovato la totale indisponibilità da parte della delegazione del Lingotto. L'unica richiesta accettata dalla Fiat, avanzata da Fim, Uilm e Fismic, è il rinvio di un nuovo accordo (che ovviamente sarebbe stato separato) per formalizzare la «pomiglianizzazione» di tutto il settore automobilistico. Un po' di tempo, più che per riflettere, per far ingoiare ai propri delegati e iscritti l'ennesima porzione di olio di ricino.
L'altra decisione, unilaterale, annunciata dalla Fiat nel corso dell'incontro di ieri riguarda il monte ore sindacale: disdettato a partire dal 1° gennaio del 2011 l'accordo che prevede l'agibilità sindacale in tutti gli stabilimenti anche per gli «esperti» e non solo per le Rsu. Gli esperti sono i rappresentati sindacali – una volta si sarebbero chiamati delegati di gruppo omogeneo, oggi di Ute – a più stretto contatto con i lavoratori e i loro problemi. La Fiat ha precisato che è sua intenzione aprire un tavolo con tutti i sindacati per addivenire a un nuovo accordo, «più consono» ai tempi che corrono. Si sa dove corrono i tempi, mentre l'accordo sul monte ore risale addirittura al 5 agosto del '71, strappato alla Fiat grazie al ciclo di lotte iniziato nel '68-'69, che regolava i tempi, i ritmi, la saturazione, i delegati e, appunto, il monte ore sindacale. C'è chi sospetta che per avere il riconoscimento degli esperti bisognerà aderire alle nuove regole di Marchionne. Si sa anche che la sola Fiom nell'auto ha 41 delegati tra gli operai (a Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Termini Imerese e pochissimi rimasti ad Arese, benché chiusa) e 49 esperti. A Melfi l'accordo sul monte ore non è valido perché l'azienda alla sua fondazione fu chiamata in un altro modo, Sata, proprio per poter assumere operai privi del portato di memoria e di diritti. Fu un'astuzia dell'allora ad Cesare Romiti, certo un uomo determinato, «feroce» come sa chi ricorda i 35 giorni dell'80. Un sincero democratico rispetto al «nuovo» Marchionne.
La delegazione Fiat guidata da Rebaudengo ha comunicato ai rappresentanti sindacali la decisione di sospendere l'uscita dalla Confindustria (finalizzata a liberarsi del contratto dei metalmeccanici) per due mesi, in attesa di trovare un accordo con l'associazione guidata da Emma Marcegaglia, che preveda deroghe al contratto fino a recepire per intero la nuova filosofiat contenuta nel diktat di Pomigliano. Invece, la newco «Fabbrica Italia Pomigliano» (Fip) non aderirà a Confindustria. Una la decisione pressoché irrilevante, dal momento che mentre gli investimenti per la produzione della Panda saranno fatti dalla Fip, il trasloco di baracca e burattini dalla Fiat alla Fip avverrà solo a partire da settembre del 2011, quando sarà avviata, con un po' di ritardo sulla tabella di marcia, la produzione. E nel frattempo  questa è una delle poche certezze per i lavoratori sballotolati di qua e di là come fagotti  tutti in cassa integrazione a stipendio ridotto, tranne i pochi che continueranno a lavorare all'Alfa 159. Sarà cassa integrazione in deroga, quella che si dà alle aziende decotte, perché per avere la cassa per ristrutturazione la Fiat dovrebbe fare gli investimenti, ma gli investimenti li fa la Fip.
Alla seconda parte dell'incontro di ieri, caratterizzato esclusivamente dal conflitto tra la Fiat e la Fiom, non ha partecipato la delegazione dei metalmeccanici Cgil guidata dal segretario generale Maurizio Landini, per la semplice ragione che riguardava «l'accordo» separato su Pomigliano siglato soltanto dai sindacati «collaborativi».               

Loris Campetti
Fiat. Masini (Fiom): “L’Azienda intende subordinare i suoi piani di investimento in Italia all’estensione a tutti gli stabilimenti delle deroghe previste nell’intesa separata su Pomigliano”


 

“Si è svolto oggi, a Torino, l’incontro tra le organizzazioni sindacali e la Fiat sul progetto ‘Fabbrica Italia’. Nel corso dell’incontro, la Fiat ha affermato che gli investimenti, previsti per il nostro Paese nei prossimi anni, sono subordinati all’estensione a tutti gli stabilimenti dell’auto delle condizioni imposte per quello di Pomigliano d’Arco con l’intesa separata del 15 giugno scorso. In sostanza, la Fiat vuole vincolare gli investimenti alla possibilità di infliggere sanzioni alle organizzazioni sindacali e ai singoli lavoratori prevista dall’intesa separata relativa a Pomigliano.”
“L’Azienda ha informato le organizzazioni sindacali che intende uscire da Confindustria per non dover rispettare il Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. L’Azienda ha altresì dichiarato che ha sospeso questa decisione a fronte dell’impegno di Confindustria stessa a realizzare, nel Contratto nazionale, le deroghe necessarie per poter applicare l’intesa separata di Pomigliano e per poterla estendere a tutto il Gruppo. Si conferma, così, che l’accordo di Pomigliano contiene in sé deroghe relative al Contratto nazionale e, a nostro avviso, anche a leggi fondamentali in materia di diritto del lavoro.”
“La Fiom si è rifiutata di seguire questa impostazione e ha sollecitato nuovamente l’Azienda ad aprire un confronto sui veri problemi degli stabilimenti e della produzione: utilizzo degli impianti, flessibilità, organizzazione del lavoro, certezza degli accordi. La Fiat non solo non ha accolto questa sollecitazione, ma prosegue sulla strada delle sue scelte unilaterali. Ha deciso infatti di forzare ulteriormente la situazione, con la disdetta dal 1° gennaio 2011 degli accordi aziendali in materia di permessi sindacali.”
“Per quanto riguarda Mirafiori, la Fiat non ha assunto impegni relativi a nuove produzioni da destinare a questo stabilimento dopo la decisione di spostare la fabbricazione della nuova monovolume in Serbia. In questo modo, si apre il rischio di un lungo periodo di ricorso alla Cassa integrazione anche per la realtà torinese.”
“Infine, la Fiom non ha partecipato all’incontro successivo - relativo all’applicazione dell’accordo su Pomigliano attraverso la costituzione della cosiddetta Newco -, non avendo condiviso quell’intesa e considerando la Newco un’ulteriore e grave violazione dell’attuale sistema di regole esistenti nel nostro Paese in materia di relazioni industriali.”



La Cgil rompa con Confindustria





Com’era ovvio, Fiat, Confindustria, Cisl e Uil sono completamente d’accordo tra loro. Certo, oggi hanno qualche piccola divergenza sul “come” salvaguardare i reciproci ruoli e poteri. Ma non hanno alcun dissenso sul “cosa”, cioè su smantellare il Contratto nazionale, prima in Fiat e poi per tutti i lavoratori italiani e trasformare Pomigliano nella regola d’applicare fabbrica per fabbrica, territorio per territorio. Già ci sono i primi segnali in questa direzione, oltre la Fiat. L’associazione industriali di Brescia ha convocato Cgil, Cisl e Uil e ha proposto un patto territoriale che riproponga, in una delle province industriali più avanzate d’Italia e non nel Sud, i contenuti del diktat di Pomigliano. E’ ovvio che sia così. Solo uno sciocco può pensare che quello che vuole ottenere la Fiat non lo pretendano tutti gli altri industriali italiani. Sarebbe davvero un’agevolazione di mercato per una sola azienda. (...)
La sostanza è che siamo di fronte al più grave attacco ai diritti sindacali, anzi ai diritti puri e semplici, dei lavoratori dal 1945 ad oggi. E questo attacco avviene con il totale consenso di Cisl e Uil. Anche il quotidiano “Europa” si domanda se Bonanni sia ancora un sindacalista.
In sintesi, la Cgil deve muoversi e decidere. A metà settembre ci sarà il direttivo nazionale della confederazione, esso prima di tutto dovrà assumere un orientamento politico. Quello di considerare la vicenda Fiat una questione che riguarda tutti i lavoratori italiani e di accollare non solo a Marchionne, ma alla Confindustria tutte le responsabilità. Il che significa scegliere una via di rottura con la Confindustria e abbandonando ogni velleità di ricostruzione unitaria con gli attuali gruppi dirigenti di Cisl e Uil. Queste sono le scelte vere, tutto il resto rischia di portare la Cgil in una posizione di assoluta marginalità.
Dietro Marchionne l'autunno dell'auto
  



Loris Campetti
Crollo del 28% in Italia, ma la Fiat perde il 36%
Ci va una bella fantasia, accompagnata da un'overdose di ottimismo, a prendere per buone le promesse di Sergio Marchionne, secondo cui la Fiat costruirà in Italia 1,4 milioni di automobili, quasi il triplo della produzione attuale. L'ennesimo capitombolo del mercato interno a luglio, che segna una riduzione delle immatricolazioni del 28%, conferma la crisi del settore destinata a durare per tutto il 2010 e, secondo le previsioni degli esperti del settore, per buona parte del prossimo anno. Dentro questo crollo da astinenza di incentivi che coinvolge tutti i marchi la Fiat riesce a far peggio, immatricolando quasi il 36% di vetture in meno, con la conseguende perdita di una quota dell'1,4%, dal 30,4 al 29,1%. Nei primi sette mesi i marchi Fiat hanno perso per strada quasi il 3%, scendendo dal 33,4 al 30,7%.
Per invertire questa tendenza che dura ormai da alcuni mesi, il Lingotto dovrebbe buttare sul mercato modelli nuovi e competitivi con una concorrenza agguerritissima e molto più impegnata sul terreno della ricerca, dell'ambiente e delle innovazioni. Purtroppo le cose non stanno così, e ci vorrà un anno e mezzo prima che arrivino dei nuovi modelli che neanche saranno targati Fiat ma Chrysler. Di conseguenza fino all'avvio della nuova Panda, la cui produzione partirà non prima dell'autunno 2011, i concessionari avranno ben poco da offrire alla clientela: la vecchia Panda che è il modello più richiesto insieme alla Punto, un po' di fascia C con Bravo e Giulietta. Niente vetture di fascia alta, niente ammiraglie, niente sportive, niente grandi monovolumi. In poche parole, niente modelli ad alto valore aggiunto.
La crisi della Fiat viaggia di pari passo in Europa, per le stesse ragioni che la vedono battere in testa in Italia. L'insieme dei marchi italiani sono scesi al sesto posto in classifica, e le prospettive non sono migliori. Se la domanda dovesse mantenersi su questi livelli bassi per tutto il 2010 senza peggiorare, le immatricolazioni scenderebbero a 1,9 milioni di vetture, dai 2,5 milioni del 2009. Ciò comporterà un'ulteriore mazzata sui salari con l'aumento della cassa integrazione.
Dentro questo scenario si svela il senso dei diktat dell'amministratore delegato della Fiat, iniziati con l'accordo separato e il referendum imposti a Pomigliano e proseguiti con la minaccia di uscire da Confindustria per cancellare il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Marchionne pretende diritti e cieca obbedienza in fabbrica in cambio di una promessa di lavoro non sostanziata dall'andamento dei mercati italiano ed europeo e dalle performances dei suoi marchi. Quel che l'amministratore delegato vorrebbe è dunque chiarissimo: trovarsi al nastro di partenza, quando e se arriverà una ripresa della domanda, con le fabbriche italiane orientalizzate in quanto a diritti, salari e orari, con la personalizzazione dei rapporti di lavoro epurati dalle classiche funzioni sindacali. Se volete che resti in Italia, dice Marchionne, queste sono le mie condizioni e chi ha ancora in testa contratti, Costituzione e conflitti per difenderli può andare a far la coda davanti all'ufficio di collocamento. Ai sindacati che resistono va tolta la terra sotto i piedi, con tutti i mezzi, anche sfoderando forme di ricatto e repressione degni del peggio Valletta.
Marchionne se la prende con la Fiom per nascondere i suoi ritardi nella ricerca e nei nuovi modelli, pronto a gridare all'occorrenza che in Italia non ci sono le condizioni di competitività, flessibilità e disciplina quindi arrivederci. La Confindustria e la Federmeccanica sono nude di fronte al ricatto Fiat: una rappresentanza delle imprese metalmeccaniche privata dell'intero settore automobilistico sarebbe ben poca cosa. Per questo Emma Marcegaglia e i suoi corrispondenti di categoria sono pronti a modificare non solo l'ultimo contratto unitario dei meccanici, risalente al 2008 e mai disdettato, ma anche tutti i successivi accordi separati senza la Fiom per svuotare, deroga dopo deroga, il contratto e fare ovunque come a Pomigliano. Le rappresentanze padronali preferirebbero lasciare una porta accostata, perché sanno quanto complicato sia governare le fabbriche con la Fiom contro ma non hanno la forza, il coraggio e l'intelligenza di dire no a Marchionne. Del resto, ce l'hanno forse i sindacati «collaborativi»?