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giovedì 26 agosto 2010




di Giorgio Cremaschi

Dopo il pieno appoggio di una ministra dell’istruzione che usa contro la Fiom frasi da querela e che, nello stesso tempo, è impegnata a distruggere la scuola pubblica, Sergio Marchionne ha trovato il pieno appoggio dell’ala più berlusconiana di Comunione e Liberazione. Dimmi chi ti sostiene e ti dirò chi sei.
La sostanza del discorso che l’amministratore delegato della Fiat ha fatto all’assemblea dei ciellini, è di puro stampo reazionario. Come un padrone delle ferriere dell’Ottocento, Marchionne ha spiegato che non ci deve essere conflitto tra padroni e operai, cioè che comandano solo i padroni, e che nella globalizzazione i diritti e la dignità del lavoro sono quelli che vengono definiti dal mercato. Ha poi, naturalmente, rivendicato il suo sacrosanto diritto di non rispettare la sentenza del Tribunale che lo condanna per attività antisindacale e gli impone di far tornare al lavoro i licenziati di Melfi. Qui, naturalmente, fa il furbetto, perché anche i manager delle multinazionali hanno il loro quartierino dove fare gli azzeccagarbugli. Così Marchionne spiega che sta rispettando la legge nello stesso momento in cui la sta violando. Del resto egli è il solo interprete autorizzato della legalità della Fiat. (...)
Dopo la presa di posizione del Presidente della Repubblica e quella della Cei, c’era chi aveva pensato che la Fiat potesse fare un gesto di dialogo. Marchionne ha chiarito che per lui dialogare e comandare come gli pare sono sinonimi e quindi che i tre di Melfi restano fuori. A questo punto trovo inutili anche le dichiarazioni di Guglielmo Epifani a favore di una ripresa del dialogo con la Fiat. Il segretario della Cgil deve capire che non ha di fronte persone con i nervi alterati, che si tratta solo di ricondurre a un po’ più di tranquillità. La Fiat interpreta un disegno autoritario che colpisce il lavoro e attraverso questo tutta la Costituzione. Non a caso attorno ad essa si sta addensando la stessa cultura e lo stesso mondo politico ed economico che ha sostenuto e sostiene Berlusconi. Nei confronti di questo disegno autoritario non ci deve essere dialogo ma conflitto, anche perché tutte le volte che si danno segnali di disponibilità, dall’altra parte si risponde con arroganza e insulti. Chi vuole distruggere i contratti nazionali e i diritti, chiamando questo patto sociale e nuove relazioni industriali, considera la parola dialogo solo uno strumento per accertare la debolezza di chi ha di fronte.
Per questo la sola risposta a questo attacco senza precedenti ai diritti del lavoro e alla stessa etica, come ha scritto la Cei, è il conflitto. Tutto il resto è ipocrisia.