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lunedì 30 agosto 2010




 Nessun dialogo con chi vuole imporre le regole



Giorgio Cremaschi

Ascoltando il discorso di Marchionne a Rimini mi è venuta in mente una celebre vignetta di Altan. Quella dove c’è un operaio che dice: “La lotta di classe è roba d’altri tempi, Cipputi”. E lui di rimando: “Sarà meglio avvisare l’ Agnelli, che non continui all’oscuro di tutto”. Agnelli non c’è più ma in Fiat le cose non sembrano cambiate.
Anzi, sono peggiorate. Il discorso di Marchionne è un discorso autenticamente reazionario. Il modello sociale che lui ha in mente nega al lavoro qualsiasi libertà e autonomia. Cosa dice Marchionne in sostanza? Che è il mercato a decidere qual è il livello di diritti e di dignità che l’impresa può accettare. E quindi che il lavoro, per esistere, deve stare nel mercato con l’impresa. Quindi viene negata la libertà sindacale alla sua radice. (...)
Non è solo Marchionne a pensarla così. Il suo intervento è stato a più riprese applaudito dalla platea di Rimini, a cui il giorno prima Tremonti aveva spiegato che «una certa qualità di diritti e di regole non possiamo più permettercele in uno scenario globale». Il ministro ha addirittura definito «un lusso» le norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Vorrebbero una Italia come la Cina. Nel nostro paese è in atto una offensiva reazionaria. La ministra Gelmini che sta distruggendo la scuola pubblica, Tremonti che sta distruggendo lo stato sociale, Marchionne che sta distruggendo i diritti dei lavoratori, Marcegaglia che sta distruggendo il contratto nazionale di lavoro sono insieme portatori di un disegno di distruzione della civiltà sociale italiana.
Come ci si può opporre a questo disegno?
La mia valutazione personale, di cui credo dovrà discutere il direttivo della Cgil, è che questi appelli al dialogo con la Fiat da parte di Epifani non servono assolutamente a niente. Perchè vengono presi dalla controparte solo come una dimostrazione di debolezza.
Con Marchionne e la Confindustria che accusano la Cgil di dire sempre di no, forse la preoccupazione di Epifani è quella di far vedere all’opinione pubblica che non è lui che rifiuta il dialogo.
Di tattiche si muore. La parola dialogo è malata, è servita per coprire le più brutali sconcezze a favore del potere. Il vero problema è affrontare di petto l’attacco che viene da Confindustria e dalla Fiat ai diritti fondamentali dei lavoratori italiani. Noi vogliamo le trattative sindacali, non il dialogo. Non c’è da dialogare, c’è da riconoscere, cosa che Marchionne non fa, che l’impresa è fatta di due interessi che hanno pari legittimità: quello dell’imprenditore e quello dei lavoratori. Epifani deve dire alla Fiat: «Per trattare con noi devi accettare la Costituzione, lo Statuto dei Lavoratori e il contratto nazionale. Se invece mantieni un atteggiamento eversivo, ti combatteremo». Questa è la cultura della Cgil. Marchionne fa una operazione autoritaria di stampo ottocentesco quando dice “non ci sono gli interessi del lavoro, ci sono solo quelli dell’impresa e i lavoratori devono stare con l’impresa”. Siamo alla riproposizione, dopo tremila anni, dell’apologo di Menenio Agrippa. E allora non c’è da dialogare. Il servo della gleba non deve dialogare con il feudatario, deve conquistare i diritti di cittadinanza. La Fiat non può voler imporre le sue regole a tutti i costi e poi chiedere agli altri di dialogare. Questo è un modo per pretendere subordinazione e passività.
In concreto, cosa proponi?
Bisogna costruire un grande movimento di lotta e avere fiducia nelle persone. In fondo Marchionne è andato in difficoltà di fronte a tre operai di Melfi che hanno affermato la loro dignità, che non si sono accontentati di avere il salario ma che hanno detto «noi vogliamo anche faticare». Dobbiamo essere capaci di far emergere che i problemi di competitività dell’Italia derivano unicamente dal sistema di potere delle imprese, dalle banche, dal sistema politico che non si rinnova e non da un mondo del lavoro che guarda al passato