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giovedì 30 giugno 2011

Comitato Centrale Fiom Cgil
30 giugno 2011


Ordine del giorno:
Il Comitato Centrale della Fiom-Cgil approva la relazione del Segretario generale della Fiom.
Il Comitato Centrale dà mandato al Segretario generale di rappresentare al Comitato Direttivo della Cgil, oltre al giudizio sull’accordo, nel rispetto dello Statuto della Fiom in merito alla democrazia sindacale la seguente posizione:
1) Lo svolgimento di una consultazione delle iscritte e degli iscritti alla Cgil interessati dall’intesa Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, attraverso il loro pronunciamento vincolante con voto certificato, come previsto dall’articolo 6 dello Statuto Cgil.
2) La sospensione della firma fino all’esito finale della consultazione.
3) La realizzazione di assemblee in tutti i luoghi di lavoro nel corso delle quali dovranno essere rappresentati e illustrati i contenuti e i diversi giudizi sull’accordo.Sulla base delle decisioni assunte dal Comitato Centrale del 30 maggio 2011 l’organizzazione è impegnata ad ogni livello per la costruzione della Piattaforma per il rinnovo del Ccnl che sarà varata dall’Assemblea nazionale Fiom il 22 e 23 settembre e sarà sottoposta a approvazione dalle lavoratrici e dai lavoratori con un voto referendari.
                                                                                      
Relazione introduttiva di Maurizio Landini                                                                                                                         Approvato all’unanimità

                                                          

CNH JESI - 3 ORE E MEZZO DI SCIOPERO PER IL PREMIO DI RISULTATO 2011

Ieri 29 Giugno 2011 le lavoratrici e i lavoratori dello stabilimento CNH di Jesi si sono fermati in sciopero (hanno aderito tutte le sigle sindacali) con una adesione che è andata oltre il 75%, per 3 ore e mezzo alla fne di ogni turno lavorativo, in dissenso e per cambiare la scelta di Fiat Industrial di non elargire alcun euro a saldo del Premio di Risultato sulle buste paga di Luglio.
Dopo tre anni di crisi CNH realizza utili (quelli del 2010 doppi rispetto a quelli del 2009), spartisce dividendi e dà nelle mani dei Professional dello stabilimento (dal 6° quadro in su) dai 4 ai 7 mila euro a testa, a seguito degli obiettivi raggiunti.
Ciò avviene grazie al sudore e alla fatica di chi da tre anni tutti i giorni, paga col proprio salario tutta la crisi , e a cui ingiustamente non viene riconosciuto nulla: ammonterebbero infatti a oltre 5000 euro i soldi sottratti ai lavoratori dalla CIGO e dal mancato riconoscimento del saldo PdR, se Fiat confermasse la scelta anche quest'anno. Oltre al danno, la beffa!
Dalle assemblee è emersa invece la necessità di un Coordinamento tra i vari stabilimenti di Fiat Industrial capace portare avanti assieme e rimettere al centro la questione del salario aziendale. Chiediamo quindi con forza la convocazione di un tavolo con Fiat che prenda in seria considerazione ciò che non è più rinviabile: il saldo del premio di risultato a Luglio 2011.

Jesi, 30 Giugno 2011    La RSU della Fiom Cgil di Jesi

ACCORDO EPOCALE di Loris Campetti - il manifesto -

Adesso non potrà più dire che mentre in America lo osannano qui in Italia gli tirano i gatti morti sul finestrino. Adesso anche da noi qualcuno lo ama. Sergio Marchionne, filosofo del Dopo Cristo, ha vinto su tutta la linea. Dopo aver cooptato Cisl e Uil alla sua corte, dopo aver dettato le regole alla Confindustria con un ricatto - o cambiate tutto come dico io o vi saluto - analogo a quello a cui sono stati sottoposti gli operai di Pomigliano - o rinunciate a diritti e dignità o chiudo e vi mando tutti a spasso - l'amministratore delegato della Chrysler-Fiat ha sbancato anche in Corso d'Italia. Incassa la resa della Cgil guidata da Susanna Camusso.

Adesso i contratti nazionali sono derogabili dunque non esistono più, siglando così la fine del basilare principio di solidarietà che ha regolato il lavoro nel secondo dopoguerra del Novecento. Adesso gli operai non possono più votare gli accordi e i contratti, firmati per loro conto da apparati sindacali sempre più organici al blocco di regime e dunque sempre meno sindacati. Adesso gli operai non possono scioperare, essendo stata sancita una «tregua». Come se il crollo di vendite di automobili Fiat in Italia e in Europa dipendesse da chi lavora alla catena di montaggio di Mirafiori o di Pomigliano, come se le tute blu avessero le braccia conserte per dimostrare la loro novecentesca aggressività e non perché non hanno nulla da costruire.
Tutto questo è avvenuto a Roma, nella dependance della Confindustria su cui erano puntati gli occhi dei lavoratori e di tutti quei cittadini e quelle cittadine che, insieme alla Fiom, avevano alzato il vento democratico del cambiamento. Adesso la strada si fa difficile e bisognerà riprendere a pedalare in salita tra le secchiate non di acqua rinfrescante ma di fango. Si è chiusa un'epoca, gridano gioiosi padroni e sindacati, plaudono i ministri, va fuori dalle righe persino il normalmente sobrio Sole 24 Ore, organo dei confindustriali che spara «Una firma per un'epoca nuova». Il Pd è contento, ma pensa un po'.
Siamo alla fine della storia? Lasciamo in pace Fukuyama, la storia non procede mai in modo rettilineo. Tra le parole di un accordo scritto nel fango e la realtà c'è di mezzo una variabile: le persone in carne e ossa, i lavoratori e tutti quelli che pensano al lavoro come a un bene comune e che non sono soli, hanno dalla loro la Fiom che «resiste ora e sempre all'invasore» come il villaggio gallico di Asterix e Obelix. Resiste e scompagina le carte ricordando a potenti e poveracci che ci sono diritti intangibili validi per tutti (sennò si trasformano in privilegi) che la dignità delle persone viene prima dei profitti. Bisognerà tenere i nervi a posto, tutti quelli che non intendono adeguarsi al modello sociale imposto da Marchionne dovranno tenere i nervi a posto. Perché la storia continua. La generosa battaglia della Fiom è una battaglia per la democrazia, perciò è una battaglia generale. Ma la Fiom, e gli operai, da soli non ce la possono fare. Non dobbiamo lasciarli soli.

martedì 28 giugno 2011

LA FIOM A CENA

La FIOM-CGIL comunica ai lavoratori della Fiat CNH che nella sera di Venerdì 1 Luglio in Zona Minonna a Jesi (nel parco adiacente la Chiesa) si terrà una cena conviviale a base di carne e buon Verdicchio.
Sono invitati tutti gli iscritti, i simpatizzanti, e tutti coloro che vorranno partecipare e che da sempre accompagnano la nostra organizzazione all'interno dello stabilimento.
Il ritrovo sarà previsto per le ore 20-20,30 in modo da permettere l'arrivo anche a chi fa il turno di pomeriggio.
La serata vedrà la presenza del segretario regionale della FIOM Giuseppe Ciarrocchi e di tutti i delegati di fabbrica, nell'auspicio che la cena possa offrire anche un possibile momento di discussione e dibattito sulle problematiche e le lotte che attendono la fabbrica nel prossimo futuro.
Invitiamo pertanto i lavoratori alla massima partecipazione e
ricordiamo a tutti coloro che sono interessati a mettersi in contatto con le RSU che provvederanno a prendere i nominativi di chi intenderà partecipare.

Jesi, 29 Giugno 2011                        La RSU della Fiom-Cgil

CNH JESI

FIOM INFORMA

Nell’incontro avutosi in data odierna tra la Direzione e la RSU di FIM-FIOM-UILM ci è stato comunicato quanto segue:
CIGO
è confermata per le giornate dell’ 1 e del 4 Luglio, in aggiunta l’Azienda ha comunicato il ricorso alla Cassa Integrazione Ordinaria per i giorni 15-22 e 29 Luglio.
L’Azienda ha inoltre comunicato che per tutto il 2011 non farà più ricorso alla Cassa Integrazione, le giornate di produzione perse nell’anno in corso ammontano a 24.
Cambi Cartelle in Officina 2
Nei giorni dell’1 e del 4 Luglio si effettueranno i seguenti cambi produttivi: il tratto A1 passa da 26 trattori a 31 aumentando di 3 postazioni, il tratto A2 passa da 27 a 30 trattori con un aumento di 3 postazioni, il tratto B1 passa da 38 trattori a 34 con un calo di 3 postazioni, il tratto B2 passa da 36 a 33 trattori con un calo di 3 postazioni.
Comandati al lavoro il 1 Luglio
300 persone; sarà effettuata normale attività produttiva al reparto Cabine sui tratti: linea C1 sul primo turno – linea C2 su entrambi i turni – Pianali sul secondo turno;
al reparto Trasmissioni lavorerà solo la linea dei TK;
lavoreranno Lamierati al reparto Verniciatura.
I restanti saranno chiamati per recupero trattori e cambio cartelle.
Comandati al lavoro il 4 Luglio
230 persone; sarà effettuata normale attività lavorativa al reparto Cabine sui tratti: linea C2 su tutti e due i turni, linea Pianali sul primo turno;
TK al reparto Trasmissioni.
I restanti saranno chiamati per il recupero trattori e cambio cartelle.


VISTA L’IMPORTANZA DEGLI ARGOMENTI DELL’ASSEMBLEA RETRIBUITA CHE SI TERRA’ DOMANI, SI INVITA TUTTE LE LAVORATRICI E I LAVORATORI ALLA MASSIMA PARTECIPAZIONE.


Jesi, 28 Giugno 2011              La RSU della FIOM-CGIL







mercoledì 22 giugno 2011

DEMOCRAZIA E GRANDE IMPRESA

di Luciano Gallino

Tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza uguali nella storia». Nel 1938 Roosevelt lanciava l'allarme per le sorti di una democrazia messa in pericolo dallo strapotere della grande industria privata. Oggi quell'allarme si è avverato

La democrazia, si legge nei manuali, è una forma di governo in cui tutti i membri di una collettività hanno sia il diritto, sia la possibilità materiale di partecipare alla formulazione delle decisioni di maggior rilievo che toccano la loro esistenza. La possibilità di intervenire nel processo decisionale, di avere voce nelle decisioni che contano, si può realizzare sia con la partecipazione diretta, sia attraverso forme di rappresentanza. 
In tema di decisioni che toccano l'esistenza del maggior numero di membri d'una collettività, di tutti noi, viene naturale includere diversi aspetti attinenti all'economia, o ad essi strettamente correlati. Tra le decisioni che incidono sulla nostra esistenza ritroviamo: il tipo di manufatti e di servizi che vengono prodotti; i luoghi della produzione degli uni e degli altri; le condizioni di lavoro in cui vengono prodotti nel nostro paese o all'estero; la possibilità per ciascuno di noi e per i suoi figli di trovare quanto prima un lavoro stabile, adatto al proprio talento e grado di istruzione. E ancora, la produzione degli alimenti di cui ci nutriamo, la loro provenienza, il modo in cui vengono distribuiti, dal negozio all'angolo all'outlet grande come un campo di calcio; il costo di ciascuno di questi beni e servizi; il tipo di mezzi di trasporto di cui dobbiamo servirci, insieme con la loro comodità e costo; la qualità dell'aria che respiriamo e dell'acqua che beviamo; gli abiti che indossiamo; il tipo di abitazione in cui viviamo, la sua collocazione e i mobili con cui è stata arredata; l'intensità fonovisiva nello spazio e nel tempo della pubblicità, cui sono esposti i nostri figli sin dai primissimi anni; il modo in cui il sistema finanziario si collega all'economia reale; il modo in cui sono gestiti i nostri risparmi a scopi previdenziali; e, per finire, la struttura sociale della comunità di cui facciamo parte.
Nelle condizioni che prevalgono da decenni nell'economia e nella società un'osservazione si impone: la grandissima maggioranza della popolazione è totalmente esclusa dalla formazione delle decisioni che ogni giorno si prendono nei campi ricordati sopra. Il soggetto che direttamente le prende o che indirettamente determina il corso delle decisioni stesse, è la grande impresa, industriale e finanziaria, non importa se italiana e straniera. Il fatto nuovo del nostro tempo è che il potere della grande impresa di decidere a propria totale discrezione che cosa produrre, dove produrlo, a quali costi per sé e per gli altri, non soltanto non è mai stato così grande, ma non ha mai avuto effetti altrettanto negativi sulla società e sulla stessa economia. A questo proposito un uomo politico di primo piano ebbe a dire tempo addietro: «La libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile. Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza uguali nella storia. Tale concentrazione sta seriamente compromettendo l'efficacia dell'impresa privata come mezzo per fornire occupazione ai lavoratori e impiego al capitale, e come mezzo per assicurare una distribuzione più equa del reddito e dei guadagni tra il popolo della nazione tutta».
L'uomo politico di cui ho appena citato un discorso era il presidente americano Franklin D. Roosevelt. Correva l'anno 1938. Roosevelt era preoccupato perché l'impresa privata creava sempre meno occupazione, e contribuiva a concentrare il reddito in poche mani anziché distribuirlo. Era ancor più preoccupato per le sorti della democrazia a fronte della crescita di un potere privato arrivata al punto di diventare più forte dello stesso Stato democratico. Dopo un interludio durato pochi decenni, la preoccupante visione di Roosevelt si è pienamente avverata, in tutti i sensi. Sia in campo industriale che in campo finanziario poche decine di corporation dalle dimensioni smisurate sono giunte a formare il vero governo del paese. Se non in tutti, in molti campi della vita civile la democrazia in Usa è stata svuotata di senso. Le leggi escono dal Congresso, ma le indicazioni per scriverle provengono notoriamente dalle corporation industriali e finanziarie. Le quali hanno speso tra l'altro 500 milioni di dollari per sostenere nel 2008 la campagna elettorale di ambedue i candidati alle presidenziali; 300 milioni per rendere il meno incisiva possibile la riforma di Wall Street del 2010; e altrettanti per tentare di bloccare la modesta riforma sanitaria voluta dal presidente Obama. Con la previsione che, essendo mutata nel novemnre 2010 la composizione del Congresso, quasi sicuramente vi riusciranno nel prossimo futuro. 
Chi ha avuto la peggio sono stati i lavoratori americani. Lavorano almeno duecento ore l'anno più degli europei, e i loro salari, in termini reali, sono pressocché al livello del 1973 - quasi quarant'anni fa. Una delle cause è stato il trasferimento di interi settori manifatturieri dai paesi sviluppati a quelli emergenti, con la perdita di decine di milioni di posti di lavoro. Grazie alle delocalizzazioni gli Stati Uniti hanno praticamente smantellato buona parte della loro industria manifatturiera. Al presente negli Usa risulta quasi scomparsa la produzione di settori che pochi decenni fa dominavano con le loro esportazioni, oltre al mercato interno, gran parte dei mercati occidentali. Tra di essi figurano comparti di dimensioni gigantesche quali gli elettrodomestici; i televisori e l'alta fedeltà; i computer e i microprocessori; i telefoni cellulari; l'abbigliamento; i giocattoli. 
In merito a tutto ciò, non risulta che quei lavoratori abbiano avuto la minima possibilità di fare sentire la loro voce, e meno che mai - salvo sporadici casi locali - di intervenire con qualche efficacia in decisioni che sconvolgevano la loro esistenza, le loro famiglie, la loro comunità. Pertanto è davvero arduo capire come il caso americano ci possa venire solennemente presentato da manager e politici italiani come una forma di modernizzazione delle relazioni industriali. È ancora più arduo capire - o forse sbaglio: è fin troppo facile - come, in Italia, tra le file dell'opposizione non si sia levata finora una sola voce per rilevare che il potere eserecitato dalle corporation sulle nostre vite configura un tale deficit di democrazia da costituire ormai il maggior problema politico della nostra epoca. 
Nell'Ue possiamo coltivare ancora per qualche tempo la nostra distrazione dinanzi allo svuotamento che il sistema economico e finanziario ha effettuato della democrazia reale, grazie al fatto che tra la fine della guerra e i secondi anni Settanta robuste iniezioni di democrazia nel sistema economico sono state effettuate per via di diversi fattori concomitanti. Tra di essi ricorderei le lotte dei lavoratori e il peso che avevano allora i sindacati anche come numero di iscritti; la presenza nei parlamenti europei di robusti partiti di sinistra; il peso nelle formazioni di centro dei cattolici progessisti; un certo numero di imprenditori e di manager pubblici che preferivano affrontare con i sindacati vertenze lunghe e aspre piuttosto che buttare sul tavolo documenti della serie «prendere o lasciare». Senza dimenticare che l'ombra dell'Orso sovietico a oriente tendeva a rendere più malleabili le confindustrie di tutti i paesi dell'Europa occidentale. I risultati si sono visti. Il sistema sanitario nazionale; lo sviluppo del sistema pensionistico pubblico; le riduzioni d'orario, a cominciare dal sabato interamente festivo; il miglioramento delle condizioni di lavoro; lo Statuto dei lavoratori, rappresentarono tutti pezzi di democrazia reale che furono estorti alla grande impresa, o che essa - se si preferisce - fu indotta a concedere. 
Ora la grande impresa si sta battendo per riconquistare il terreno perduto tra il 1950 e il 1980. Di fronte le si aprono praterie senza confini. La preoccupante ombra dell'Orso è scomparsa. I partiti di sinistra sono peggio che scomparsi: anche quando si sforzano di dire qualcosa di sinistra si intravvede subito, in Italia come in Francia, nel Regno Unito come in Germania (in questo caso, bisogna dire, con l'eccezione della Linke), che sono diventati i migliori interpreti degli interessi della grande impresa ai tempi della globalizzazione. In tutti i paesi i sindacati sono indeboliti dal calo degli iscritti - in media oltre la metà, nell'industria manifatturiera - e dalla divisione tra chi propende alla collaborazione prima ancora di cominciare una vertenza, e chi preferisce invece ragionare in termini di composizione caso per caso di un conflitto che è storicamente strutturale, e strutturalmente irrisolvibile - salvo si preveda un'uscita dal capitalismo.
Quel che si configura nel nostro paese come in tutta l'Ue a 15 è un arretramento non solo delle relazioni industriali ma dell'intero processo democratico. Un arretramento di tale portata da essersi verificato, nella storia, soltanto quando un sistema politico democratico è stato sostituito da una dittatura. A guardarlo con occhio distratto, come un po' tutti siamo inclini a fare, il percorso pare innocuo. La globalizzazione, si afferma, esige che si riducano i diritti, i salari, lo Stato sociale per fare fronte al potere economico dei paesi emergenti. La grande impresa contribuisce al percorso attribuendo ad esso un carattere di ineluttabilità: non esistono alternative; sono in gioco grandi investimenti e molti posti di lavoro; non possiamo far altro che adattarci alla logica dell'economia. In realtà, non di logica economica si tratta, bensì di potere politico. Il fatto di sottrarre progressivamente ai lavoratori ogni residua possibilità di partecipazione alla determinazione di orari, salari, condizioni di lavoro e altro preannuncia la sottrazione a tutti della possibilità di partecipare a qualsiasi decisione di qualsiasi rilevanza in qualsiasi ambito. Preannuncia, in altre parole, la sottomissione a un potere totale.
La privatizzazione di ogni cosa, dalla previdenza alla scuola e all'acqua, che sono uno degli ultimi campi da cui la grande impresa può puntare ad estrarre un valore elevato perché da noi sono campi ancora poco lavorati, è un altro passo intermedio significativo. Ed è stupefacente notare anche qui come il centro-sinistra lo consideri un tema economico, laddove si tratta di un vitale snodo politico. Privatizzare beni comuni, infatti, significa sottrarre ai cittadini un ampio terreno di partecipazione politica, di esercizio della disciplina democratica, per trasferirlo pari pari alla discrezione della grande impresa. Potrebbe quindi essere giunto il momento di discutere dei modi in cui il potere oggi debordante della grande impresa dovrebbe essere sottoposto a regole, al pari di qualsivoglia altro centro di potere. Avendo in vista un sommesso proposito: ridare vitalità, senso, contenuti quotidiani, motivi di attrazione culturale e morale all'idea di democrazia.

CNH JESI

PRIMA LA PANCIA 
poi le medaglie!

Le lavoratrici e i lavoratori dello stabilimento CNH di Jesi ritengono inaccettabile la scelta di FIAT INDUSTRIAL di non elargire alcun euro sulla busta paga di Luglio a saldo del Premio di Risultato 2011 .Questo per il secondo anno consecutivo, e dopo il dimezzamento a 600 euro del 2009.
In tre anni, con la scusa della crisi, l'Azienda ha sottratto complessivamente ad ogni lavoratore 3000 Euro di Salario Integrativo, producendo paradossalmente utili e dividendi azionari.

E' venuto il momento di dire basta, ai lavoratori non si possono chiedere altri sacrifci. Gli va invece riconosciuto il merito di aver comunque, con il loro saper fare e con la loro dignità, mandato avanti lo stesso la fabbrica in questi due anni e mezzo di crisi, permettendo all'Azienda di rilanciarsi e di lasciare alle spalle i giorni della Cassa Integrazione, che hanno decurtato pesantemente le loro già basse buste paga.
Porsi obiettivi ambiziosi – come l'argento sul WCM, quello di cui si sta discutendo oggi – non può non tenere conto di questo, e non può essere costruito solo dal fumo negli occhi delle foto giganti, o delle convention con le star dello sport.

Qui si viene per il pane innanzitutto, quello guadagnato con la fatica di tutti i giorni: con le medaglie e basta, la busta della spesa rimane vuota.
Per questo chiediamo immediatamente la convocazione di un tavolo tra le parti, che prenda in seria considerazione ciò che non è più rinviabile: il Saldo del Premio di Risultato 2011.

Jesi 22 Giugno 2011 La RSU della FIOM-CGIL

sabato 18 giugno 2011

venerdì 17 giugno 2011

mercoledì 15 giugno 2011

FIOMLANDINI, LA FIAT HA TRUFFATO LE LEGGI DEL NOSTRO PAESE 



Bologna, 15 giu. - "La Fiat ha truffato le leggi del nostro Paese": lo ha detto il leader nazionale della Fiom Maurizio Landini presentando a Bologna la manifestazione (ma anche evento televisivo e di spettacolo) "Signori entra il lavoro" organizzata assieme a Michele Santoro e a un folto gruppo di artisti per la festa dei 110 della nascita del sindacato dei metalmeccanici. "La nostra denuncia si fonda proprio su questo - ha spiegato Landini, riferendosi alla vertenza in corso in questi giorni a Torino - Per noi stanno violando il codice civile, l'articolo 2112. Quando c'e' un trasferimento d'impresa, un cambio di proprieta' - ha detto Landini - il lavoratore ha diritto di passare da una azienda all'altra tenendo i diritti e i contratti che ha. La Fiat sta raccontando che questo non e' un trasferimento d'impresa, per cancellare questi diritti e il contratto. Secondo noi - ha concluso Landini - e' una truffa alle leggi italiane ed europee sul trasferimento d'impresa e per questo abbiamo chiesto al giudice di dire che deve applicare la legge".
  Landini ha poi aggiunto che la Fiom denuncia anche un comportamento antisindacale dell'azienda torinese: "Le cosiddette new.co. - ha concluso Landini - servono per dire che la Cgil e la Fiom non esistono piu' in quelle fabbriche li', nonostante abbiano iscritti, e quindi limita le liberta'

martedì 14 giugno 2011

ESPLOSIONI DI QUORUM




Ha vinto l’Italia migliore. Ha vinto l’Italia che guarda al futuro, quella del senso civico, non rassegnata, quella che non si fa condizionare da un dibattito politico avvitato su se stesso, falsato, irreggimentato, a tratti persino arrogante. Hanno vinto i cittadini e le cittadine che si sono recate in massa a votare, contro ogni pronostico. E’ l’Italia che vuole cambiare, che forse è già cambiata, che vuole decidere il presente e il futuro per conto proprio.
Ha vinto l’Italia che abbraccia la vita, per cui l’acqua è un bene prezioso, che manda a dire che non c’è mercato quando si parla di bisogni primari, di beni comuni. L’Italia che si interroga su quei bambini, un milione e mezzo, che muoiono ogni anno per il mancato accesso ai servizi idrici e che vuole rispondere collettivamente. I problemi del mondo sono problemi nostri.
Ha vinto l’Italia che si guarda intorno e scopre un Paese bellissimo, che si domanda perché sia possibile costruire un sistema energetico basato sulle energie rinnovabili a pochi passi da noi, nelle lande tedesche, e non tra i borghi di casa nostra. Non ci saranno brutte e grigie centrali intorno a noi negli anni a venire, ma solo il profumo del futuro.
Ha vinto l’Italia che rabbrivisce per tutti quei ragazzi e quelle ragazze che non hanno avuto né giustizia né un processo e mai ce l’avranno. Per chi muore ogni giorno nelle carceri, per chi giustiza non ce l’avrà mai. Ha vinto l’Italia per cui la legge è uguale per tutti. Per tutelare innanzitutto gli ultimi, non per mettere in galera i potenti.
Hanno vinto i cittadini, che ancora prima dei partiti, hanno promosso i referendum, raccolto milioni di firme, fatto una campagna capillare senza fermarsi mai.
Hanno vinto coloro che hanno votato “no”, che credono ancora nell’importanza di esprimere la propria opinione con un voto, mettendo la scheda nell’urna e decidendo di testa propria cosa era giusto o meno fare.
Ha vinto un’Italia che a troppi, nei partiti, era sconosciuta. L’Italia che ha animato le piazze e le strade del Paese in questi mesi. Gli studenti e la loro rabbia giovane, le donne e la voglia di partecipazione, i lavoratori e la dignità di chi non cede ai potenti, i giovani e il loro protagonismo ritrovato.
Da oggi tutto è possibile. Niente sarà più come prima.

mercoledì 8 giugno 2011

L'ITALIA E' ANCORA UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO?

Pubblico il testo del mio intervento all’assemblea nazionale dell’Associazione Lavoro e Libertà che si è svolta sabato 28 maggio a Torino.

“Gli industriali sono divisi tra loro per il profitto, sono divisi tra loro per la concorrenza economica e politica, ma di fronte alla classe operaia essi sono un blocco d’acciaio: non esiste il disfattismo nel loro seno, non esiste chi sabota l’azione generale, chi semina lo sconforto e il panico”. Mi è già capitato di ricordare, negli scorsi mesi, quelli della “battaglia di Mirafiori”, questo brano di Antonio Gramsci dedicato allo “sciopero delle lancette” (aprile 1920), negli stabilimenti Fiat. Un momento decisivo della lotta tra capitale e lavoro, in questa città, dotato, naturalmente, di un robusto significato nazionale, grazie al forte valore simbolico di quello scontro: l’obiettivo era il potere in fabbrica. Ossia, i lavoratori hanno o no il diritto di dire la loro sulle condizioni, sui tempi, sugli orari, sui ritmi in fabbrica? Spostare le lancette degli orologi dello stabilimento Fiat indietro di un’ora da parte dei membri delle Commissioni interne, significava dire: in fabbrica, per ciò che concerne l’organizzazione del lavoro, contiamo noi. E non possiamo accettare che le nostre condizioni lavorative vengano decise, e peggiorate, da altri: siamo noi  maestranze a dover decidere.
Aggiungeva Gramsci, davanti all’esito di quello scontro epocale finito malamente per i proletari:  “La classe operaia è stata sconfitta e non poteva che essere sconfitta. La classe operaia è stata trascinata nella lotta”.
Anche oggi, davanti alle “agitazioni” del mondo del lavoro, ci rendiamo conto che è così. Anzi, è praticamente quasi sempre così: i lavoratori non fanno sciopero – che costituisce un peso e un costo innanzi tutto per loro, e per le loro famiglie – per attaccare: fanno sciopero per difendersi: per difendersi dall’attacco del padronato o del ceto di governo, i lavoratori sono costretti a organizzare azioni, inventano forme nuove o ripropongono forme vecchie, sperimentate (anche se talora forse bisognose di essere rivedute e corrette) di lotta nelle officine e negli uffici, o forme di azione pubblica che tentano di smuovere la “zona grigia”, o, per usare il linguaggio canonico, di “sensibilizzare la pubblica opinione”. Sono azioni di resistenza, di difesa, o, tutt’al più, di contrattacco.
In tal senso, la classe lavoratrice – operai, tecnici, impiegati – è, in questa fase storica, sulla difensiva; e la cosa si spiega perfettamente. Oggi, un “oggi” che dura da tempo, in un crescendo inquietante, è il padronato, è la destra, politica economica e culturale, a mostrare un’attitudine ideologica all’attacco alle posizioni acquisite sul piano istituzionale e sociale dai subalterni, intesi nel senso più lato. E, da questa destra aggressiva, che teorizza il “cambiamento”,  tocca sentirsi chiamare “conservatori”: ma noi sappiamo che esiste anche un conservatorismo dei valori, del quale ci dichiariamo paladini, e un conservatorismo degli interessi (gli interessi dei potenti, beninteso), a cui ci dichiariamo ostili.  È la destra che teorizza e cerca di praticare il “cambiamento”, chiamando “riforma” qualsivoglia ideologia o pratica volte a scardinare l’edificio dello Stato democratico, a corrompere l’equilibrio tra i poteri, a legalizzare l’illegalità; a cancellare lo spazio pubblico per trasformarlo, spezzettato, in spazi privati; a rendere ogni bene comune, ogni risorsa sociale ed economica, bene a disposizione di qualche potentato, in grado di acquisirlo e di rivenderne l’uso ai singoli, o, come viene esposto dalla comunicazione politica della lingua dominante, ossia del pensiero (all’apparenza) vincente, fruibile sul piano del “Mercato” – grande Moloch a cui non si smettono di immolare vittime sacrificali, salvo appoggiarsi parassitariamente allo Stato quando si è in difficoltà. Non basta: sono i cosiddetti “riformatori” a trasformare lo status del cittadino in quello del suddito; a usare i migranti come nuovi schiavi; a riportare i lavoratori a condizioni antiche, quelle nelle quali invece dei diritti riconosciuti e certificati dalla legge, sussistevano concessioni del “buon padrone” ai singoli: stabilimenti o individui.
Ecco, è questo il punto a mio avviso centrale. Si sta tentando, in tutto questo brusio di “riforme”, “innovazione”, “cambiamento”, “modernizzazione”, e quant’altro, di riportarci dall’età dei diritti, quella faticosamente, dolorosamente, raggiunta con lotte secolari, all’età dei privilegi. Una linea teorica e politica che ha sempre tentato, spesso, purtroppo, con successo, di dividere i lavoratori. I diritti unificano, e creano solidarietà; i privilegi dividono, e esasperano l’individualismo. Perciò sono da combattere, a maggior ragione: non solo per una motivazione storica, ma sulla base di una motivazione etica prima ancora che politica. Si propone, con il “Modello Marchionne”, un pactum sceleris: lavoro contro diritti, ossia cessione di diritti in cambio di lavoro. Come se si potesse davvero credere che rinunciando, in un determinato luogo di lavoro, a una quota di diritti potessero beneficiare tutti del lavoro posto sull’altro piatto della bilancia. È invece esattamente l’opposto. Ogni cessione di diritti implica un arretramento complessivo della classe. Si tratta perciò di un grande inganno che non è solo, guardando alla Fiat di Marchionne, l’esperimento di un nuovo modello di relazioni sociali,  è, anche, la strada maestra che conduce dalla fabbrica allo Stato, non in senso gramsciano, ma rovesciandolo, in senso padronale. Il nesso tra attacco ai diritti sul luogo di lavoro e trasformazione del sistema politico verso quella che cautamente (troppo) si è chiamata “postdemocrazia” è fortissimo, e va evidenziato, denunciato.
Il nostro intento – di noi qui, che partecipiamo alle prime assise di Lavoro e Libertà, consci che si tratta di un evento il cui significato va ben oltre le nostre persone – è, precisamente, di riaffermare l’importanza dei diritti, il loro insostituibile ruolo storico: sui diritti, insomma, non si torna indietro, per usare un facile slogan, facile ma necessario; sui diritti non si può cedere, e dunque non si può neppure trattare. Il primo diritto è alla vita, il secondo, a quello strettamente connesso, non solo sul piano biologico, è il diritto per l’appunto al lavoro. Il terzo è il diritto alla dignità della condizione di lavoratori e lavoratrici, ma anche di coloro che il lavoro hanno concluso, arrivando a una quiescenza che troppo spesso somiglia al mero, mesto tempo di attesa della finis vitae. E non dimentichiamo il diritto di chi il lavoro non ce l’ha, o di chi ne ha di quelli senza garanzie, senza certezze, senza tutele.
Lavoro e Libertà deve, fin dallo slogan della nostra assemblea, ricordare agli immemori o ai distratti che la Repubblica italiana “è fondata sul lavoro”. Che significa lavoro per tutti, lavoro dignitoso, garantito, sicuro; che significa trattamento decoroso dei pensionati; che significa riconoscimento dei diritti collaterali a quello del lavoro: casa, trasporti, tempo libero. Che sia un tempo davvero liberato dalle vecchie e nuove schiavitù salariali. E dall’intrattenimento e dal divertimento imposti dal sistema: vogliamo evitare di finire nel ruolo del “gorilla ammaestrato” di cui ancora Gramsci parla inAmericanismo e fordismo. Che significa, in realtà, azione di resistenza, sistematica e generale, compatta e solidale, culturale (nel senso ampio, antropologico) nei confronti dell’aggressione che ogni giorno arriva ai lavoratori, di ogni settore, da parte di amministratori delegati senza meriti alcuni al di là del risparmio sulle spese dei loro datori di lavoro; da parte di coloro che ormai come professione invece che gli imprenditori svolgono quella di fallimentatori, delocalizzatori, modesti contabili che affrontano le sfide poste dalla globalizzazione, e le stesse difficoltà della crisi economica internazionale, in termini di mera aritmetica: l’ultimo esempio è il piano per un settore storico per l’economia e per lo stesso famoso made in Italy (con cui si sciacquano la bocca i nostri governanti), il settore della cantieristica navale. Dopo aver distrutto la chimica, l’elettronica, e aver svenduto ai privati il settore agroalimentare, la telefonia, i trasporti ferroviari, e, ridotti in condizioni penose, quelli aerei, privatizzando profitti e gravando sulla comunità le perdite, ora smantelleremo anche la cantieristica… Incuranti, questi “imprenditori” da strapazzo (altro che “etica del capitalismo”!), dei costi sociali delle loro decisioni (che cosa può significare lo smantellamento della cantieristica a Sampiedarena o a Castellammare?!), oltre che del disastro sul piano delle tradizioni di innovazione e di esperienza artigianale che quel settore contiene in sé.
Resistere, dunque, a governanti cinici e rozzi, che non appaiono ormai neppure più membri di un comitato d’affari della borghesia, per citare Marx, ma inetti e violenti rappresentanti di un “partito della devastazione” che sta operando contro il Paese, contro quanto di buono esso nutre nel suo seno, contro le classi sociali che ne sorreggono l’economia, non soltanto producendo ricchezza, ma pagando le tasse: i lavoratori e i pensionati, in primo luogo. Con un accanimento particolare, voglio ricordarlo, contro scuola e università, tra le ultime roccaforti del pensiero libero in questo Paese.  Accanimento che si è tradotto anche in tagli vergognosi al corpo docente, e ora si traduce anche in mancate iscrizioni dei ragazzi e ragazze: perché iscriversi a scuola o all’università se non ci sono speranze di lavoro? E che faranno questi giovani senza futuro?
Infine, ci avevano fatto credere che il lavoro fosse ormai diventato produzione virtuale di beni immateriali. Che la tuta blu fosse un espediente letterario. Che la classe operaia ormai non esistesse più. È stato necessario, per così dire, tragicamente necessario, il terribile incidente alla Thyssen Krupp per “scoprire”  quei soggetti che proprio a Torino avevano animato alcune delle lotte più memorabili, dal biennio rosso agli scioperi del marzo ’43, fino alla mobilitazione dell’autunno caldo. Scoprire che esistevano gli operai e le operaie, e che esistevano ancora merci intese come prodotti materiali, e che per produrle occorreva fatica fisica, e, infine, che per produrre quelle merci, a disposizione della collettività, ma il cui profitto andava esclusivamente agli azionisti dell’azienda, si rischiava la vita.
Perciò oggi la classe lavoratrice non può sottrarsi allo scontro: perciò abbiamo visto scene inusitate, come i lavoratori sui tetti o abbarbicati ai cancelli. Perciò sono partite lotte anche dure,  dalle occupazioni stradali agli assalti ai municipi. Anche ad errori, abbiamo assistito; ma come potremmo criticare quelle donne e quegli uomini, impegnati a difendere con la loro condizione lavorativa un interesse collettivo? E non possiamo anzi non incitare a sentirsi parte della battaglia tutti i proletari e le tante, innumerevoli figure sociali che entrano oggi nella grande categoria dei subalterni – dai sottoccupati ai cassintegrati, dai precari della ricerca ai pensionati cui si fa l’onta della social card, dagli insegnanti ingiuriati e vessati fino ai migranti, nuovi schiavi alla luce del sole…
Come per Pomigliano, poi per  Mirafiori, e le altre analoghe, sia pure minori successive, si è messa in atto la strategia di un senso comune che ci invita a tenere conto delle “esigenze della produzione” (tanto più con il ricatto della globalizzazione a cui si è aggiunto nello scorso triennio quello della crisi), ossia del profitto; e delle esigenze della sopravvivenza, e della vita stessa, dei lavoratori, nessuno parla. La dignità del lavoro, e la libertà degli uomini e delle donne dalla tragedia della disoccupazione e della sottoccupazione, costituisce un bene talmente importante da essere dimenticato daglianchormen dei media, o da tanta parte del ceto politico, non solo di governo, purtroppo.
In questa campagna propagandistica si è trascurato, deliberatamente, di dare il dovuto spazio alla fatica, la fatica fisica; si è fatto finta di dimenticare che gli operai sono “uomini (e donne) in carne ed ossa” (ancora Gramsci). E che i famosi dieci minuti di sosta che Marchionne ha rubato (quei dieci minuti “per andare al cesso”, su cui si accentra l’irrisione sciocca di qualche commentatore), sono soste vitali. Si è dimenticato che il lavoro operaio è fatica, è sudore appiccicoso, è grasso che imbratta, è schiene spezzate, è pipì trattenuta fino a sentirsi male per la vescica che si gonfia, è tagli alle mani, è muscoli irritati, è occhi che lacrimano, è dolore, e alla fine sensazione di totale estraniamento rispetto al lavoro, anche, eventualmente, al pezzo. E non solo: dobbiamo mettere in guardia anche contro un disegno che implica la volontà di controllo totale dei tempi di lavoro, di vita, di pensiero delle persone: un progetto totalitario, in sostanza, nel quale le regole vengono riscritte da una sola parte, quella forte, e imposte, con la violenza del sistema mediatico, politico (con la complicità di un sindacalismo corrotto o inetto), alla parte debole. Regole fondate semplicemente sulla elementare legge del più forte.
Anche per questa ragione storica, noi siamo stati e rimaniamo sulla barricata opposta. Accanto ai NO di Pomigliano, prima; di Mirafiori, poi. Una sconfitta dopo l’altra? Solo apparente, formale. Dietro l’apparente sconfitta di Mirafiori è emersa un’altra Torino, un’altra Italia che non si piega al turbocapitalismo, al neopopulismo autoritario, a rigurgiti razzisti o a tentazioni addirittura secessionistiche. Questa Torino è oggi qui, a dire che c’è e che non si piega. E che, di nuovo, ancora una volta, si pone accanto ai lavoratori, sia quelli in atto, sia quelli in potenza. A costruire una rete di protezione, fatta di cultura, di energia, di entusiasmo: una rete in cui due generazioni, o tre, si uniscono per smascherare le menzogne e per scuotere l’indifferenza. E contribuire a trasformare l’indignazione in progetto politico. E come mi è capitato di dire più volte negli ultimi mesi, questa Torino, e, come sta emergendo dai messaggi politici che giungono da Napoli e da Milano, questa Italia, quella che non vuole morire berlusconiana, leghista, e marchionnizzata, questa Italia è oggi maggioranza.
Trent’un anni fa, nell’autunno 1980, la marcia dei Quarantamila, segnò l’inversione di tendenza. Allora si parlava di “maggioranza silenziosa”, rappresentata anche fisicamente dai “quadri” di Mirafiori e Lingotto scesi in piazza contro il sindacato, contro la classe operaia; ebbene, io credo che oggi noi – noi qui che ci raccogliamo intorno alla FIOM, diventata la nostra linea del Piave, e in non poche altre trincee, noi che con Lavoro e Libertà vogliamo intraprendere un cammino di studio, di ricerca, di analisi, affidando ad altri, al nostro fianco, l’azione direttamente politica – siamo maggioranza. E siamo rimasti troppo a lungo silenziosi, inerti, o complici: è giunto il momento di riprendere la voce e di alzarla forte e chiara. Talora gridando, in piazza, talaltra semplicemente, come intendiamo fare qui, oggi, discutendo, affrontando problemi, individuando soluzioni. Due modi per dire No – uno dell’azione, militante, uno dello studio, riflessivo –, al progetto del “partito della devastazione”; ma anche due modi per dire sì: ma ad un altro Paese. Quello da costruire insieme.

Angelo d’Orsi
(30 maggio 2011)

martedì 7 giugno 2011

110 ANNI LA FIOM IN FESTA-BOLOGNA 16-17-18-19 GIUGNO

SINDACATO GIALLO CONTRO LA FIOM

FIAT Fim, Uilm, Fismic soccorrono Marchionne: parti civili in difesa della truffa di Pomigliano. Il 18 giugno a Torino si aprirà il processo contro il nuovo contratto Fiat che cancella i diritti

Lo scalpo da conquistare è quello della Fiom. Ieri le truppe cammellate dell'amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne sono arrivate al tribunale di Torino per costituirsi parti civili nel processo che vede da una parte il Lingotto e dall'altra i metalmeccanici della Cgil. Sotto accusa è la newco di Pomigliano, la nuova società voluta dalla multinazionale dell'auto e imposta, con la complicità di Fim e Uilm, attraverso un referendum truffa in cui si chiedeva ai dipendenti: vuoi il lavoro o i diritti? La maggioranza ha scelto il lavoro senza diritti, ma era una scelta libera? E rispettosa della legislazione vigente, dello Statuto dei lavoratori e della Costituzione? Analogo ricatto è stato imposto ai lavoratori di Mirafiori e infine ai 1.092 dipendenti della Bertone.
Dunque la Fiom si è rivolta alla magistratura e il 18 di questo mese si terrà la prima udienza. La novità di ieri sta proprio nel regalo portato a Marchionne dai tre re magi, Fim, Uilm e Fismic che hanno deciso di difendere il «loro» accordo, la fuga della Fiat da Confindustria, la cancellazione del contratto nazionale di lavoro sostituito da uno aziendale in cui è vietato scioperare e ammalarsi è un rischio che si paga profumatamente. Il «loro» accordo prevede anche l'esclusione dalla fabbrica dei sindacati non firmatari del nuovo «contratto»: la Fiom non potrà svolgere attività sindacale né avere delegati perché, e questa è la cosa più scandalosa, agli operai sarà negata la possibilità di scegliere i propri rappresentanti che verranno nominati direttamente dalle organizzazioni firmatarie.
Inutile chiedersi cosa se ne farà Marchionne di sindacati «gialli» come Fim, Uilm e Fismic e come pensi di gestire le fabbriche senza il consenso del sindacato più rappresentativo (i no a Mirafiori hanno sfiorato il 50% e l'hanno superato tra gli operai alle catene di montaggio, quelli destinatari della ricetta Marchionne). Inutile chiederselo, perché l'ad Fiat dei sindacati non se ne fa nulla, neanche di quelli subalterni che però, per accaparrarsi le briciole che cadono dal tavolo del capo, sono pronte a umiliarasi persino in tribunale, offrendo quello che il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo, chiama «ampio soccorso».
Come ha ripetuto nei due mondi della Fiat, America e Italia, Marchionne è infastidito dal fatto che, mentre nel nuovo mondo gli operai e «la gente» gli fanno ponti d'oro, dalle nostre parti lo contestano, per dirla con Crozza gli tirano un gatto morto sul vetro dell'automobile. Ieri però l'uomo dei miracoli si è preso la sua bella rivincita: un bagno di folla alla festa dell'arma dei Carabinieri, a Torino, con i bambini di una scuola che chiedevano a lui e al presidente Elkann una foto. I due big, magnanimi, sono scesi dalla vettura e si sono concessi ai fotografi e ai bambini che simpaticamente hanno gridato «Forza Juve», strappando un sorriso a John e a Sergio. Per smentire i maligni che parlano di fuga della Fiat da Torino e dall'Italia, Marchionne ha detto che l'impegno in Italia «è chiaro». Forse a lui, visto che né il governo né i sindacati hanno avuto l'onore di vedere il piano industriale Fiat, mentre gli operai ancora aspettano i famosi 20 miliardi di investimenti nel nostro paese, per non parlare dei nuovi modelli di automobili. Ama così il nostro paese, Marchionne, che nei prossimi giorni, prima di ripartire per gli Stati uniti, incontrerà il nuovo sindaco di Torino, Piero Fassino. Quello che ha sempre suggerito agli operai di votare sì ai ricatti Fiat.
La maggioranza del capitale Chrysler conquistata dalla Fiat con l'acquisto delle azioni del governo Usa è solo un primo passo. Ora si tratta di sloggiare il sindacato Uaw, proprietario con il fondo Vaga del 41% del capitale e necessitato ad accettare anche proposte poco lusinghiere per riuscire a pagare le pensioni dei dipendenti. E c'è un'altra casamatta da conquistare: si tratta della quota dell'1,7% ancora in mano al governo canadese a cui Marchionne ha offerto 125 milioni di dollari. Il Canada può rifletterci, ma con il passare del tempo, ha precisato Marchionne, l'offerta potrebbe anche cambiare.

Loris campetti (manifesto)

sabato 4 giugno 2011

FIAT: LANDINI, DA CONFINDUSTRIA AFFONDO A CONTRATTO NAZIONALE


 (AGI) - Roma, 4 giu. - "Confindustria finalmente getta le maschera: vuole cancellare i contratti nazionali nel nostro paese, e chiede una legge per permettere ad un'azienda di farlo. Vuole insomma un regolamento delle liberta'": e' questo il commento all'Agi del segretario generale della Fiom Maurizio Landini alle affermazioni di Bombassei, vicepresidente di Confindustria secondo cui i contratti aziendali, sottoscritti con il consenso della maggioranza dei lavoratori, possono sostituire quelli nazionali e che in questa direzione la Fiat rimanendo in Confindustria verrebbe rafforzata. "Bombassei sta offrendo a Marchionne una cosa che sa che non vale, e chiede addirittura una legge che ora non esiste.

Quindi chiede in sostanza di non rispettare le leggi attuali", spiega Landini aggiungendo che "se Bombassei pensa che ognuno puo' fare come gli pare, mi sembra che vada contro gli interessi degli associati di Confindustria e anche contro gli interessi del Paese". Landini prosegue affermando che "Bombassei dice che si possono superare i contratti nazionali tranquillamente. Considero sbagliata l'idea che per competere bisogna cancellare i contratti nazionali. Si conferma da un lato che gli accordi fatti dalla Fiat avevano un obiettivo esplicito di uscire da contratto nazionale, violando norme, e se Confindustria segue Fiat su questa strada, non fa altro che accreditare l'idea di un superamento dei contratti nazionali e della contrattazione integrativa tra le parti".

 "E' singolare poi - aggiunge - che Confindustria citi il voto dei lavoratori solo nel caso della Fiat, che come noto, e' stato un voto sotto ricatto, e la Fiat sa perfettamente che maggioranza lavoratori non e' d'accordo. Confindustria fa finta di non capire che i contartti separati esistono perche' si e' impedito ai lavoratori di votare e di decidere". Piuttosto, conclude, "ci vorrebbe un accordo e una legge che sancisse diritto lavoratori di votare, e che le piattaforme di un accordo dovrebbero essere votate".

mercoledì 1 giugno 2011

COMITATO CENTRALE

Documento finale
Comitato Centrale Fiom‐Cgil 30 maggio 2011

Il Comitato Centrale della Fiom‐Cgil convoca per il 22 e 23 settembre 2011 l'Assemblea nazionale della Fiom, con il compito di varare la piattaforma per rinnovare il Contratto nazionale del 2008 in vigore, la cui validità è stata confermata anche da decreti emessi da diversi Tribunali del nostro Paese.
A partire dal mese di giugno, sulla base dei contenuti della griglia definita dall'Assemblea nazionale svolta a Cervia lo scorso 3‐4 febbraio, dovranno essere convocate apposite assemblee in tutti i luoghi di lavoro, al fine di costruire una piattaforma che sia frutto di una consapevole partecipazione dei metalmeccanici del nostro Paese.
A livello territoriale e regionale è compito delle rispettive strutture garantire il più ampio confronto con le lavoratrici e i lavoratori e, successivamente, produrre una sintesi della discussione e degli orientamenti e delle proposte che emergono da questa prima fase di consultazione.
La Segreteria nazionale organizzerà una giornata seminariale, indicativamente da svolgersi nel mese di luglio, al fine di approfondire il rapporto tra la riconquista del Ccnl, i caratteri della crisi e un nuovo modello di sviluppo. Ciò, tenuto conto delle politiche e della dimensione europea ed anche delle decisioni che scaturiranno dal Congresso della Fem in rapporto con la Confederazione e le altre categorie.
Lavoro e diritti, contratto e nuovo modello di sviluppo, democrazia saranno anche i temi al centro dell’Assemblea nazionale di giovani delegati/e, con la partecipazione di studenti, precari e rappresentanti delle "rivoluzioni della dignità" nel Mediterraneo, che la Segreteria nazionale della Fiom organizza il 22 luglio nel quadro delle iniziative per il decennale Genova 2001‐2011: “Loro la crisi, noi la speranza”.
Il Comitato Centrale della Fiom ribadisce che per la riconquista di un Ccnl capace di riunificare i diritti nel lavoro, difendere l’occupazione, superare la precarietà, aumentare il salario reale, riaffermare le libertà sindacali ed estendere la contrattazione collettiva integrativa al Ccnl su tutti gli aspetti che compongono la prestazione lavorativa, rimane prioritaria la definizione contrattuale e legislativa di regole sulla rappresentanza e la validazione democratica delle piattaforme e degli accordi aziendali, nazionali e intercategoriali basata sul voto referendario.
Approvato con 1 astenuto