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mercoledì 2 febbraio 2011

Diritti in cambio di cassa integrazione

Mirafiori resterà chiusa per un anno a partire dal 14 febbraio. È il primo regalo del diktat di Marchionne che, «forte» del 54% di sì al referendum (che scende al 49% tra gli operai) manda tutti a casa per 12 mesi. Il ricatto dell'uomo dei miracoli prometteva lavoro in cambio dei diritti, schiavi in mano. A Pomigliano, invece, ieri per un solo giorno è stata sospesa la cassa integrazione, che va avanti da tempo immemorabile, per un quinto dei dipendenti. Otto ore di lavoro allo stabilimento Gianbattista Vico dove un referendum-truffa (64% di sì che scende al 40% tra gli operai) simile a quello di Mirafiori, ha garantito a Marchionne la fine della democrazia operaia e sindacale. O meglio, il sogno della fine.
La Fiat ha spiegato da tutti i media, con il sostegno del governo amico, dei suoi soci imprenditori e di larga parte dell'opposizione, che serve più flessibilità, obbedienza e abbattimento dei costi del lavoro per recuperare competitività e sfondare sui mercati. Così la produzione di automobili in Italia sarebbe passata da 5-600 mila vetture a 1,5 milioni. Invece le cose non vanno secondo le promesse da mercante di Marchionne, e in cambio della rinuncia allo sciopero, alla salute, alle pause, all'elezione dei rappresentanti, le tute blu ricevono solo cassa integrazione, per chissà quanto tempo ancora.
Era scritto che sarebbe andata così ed è scritto che all'orizzonte non c'è alcuna inversione di tendenza. Al contrario, l'andamento del mercato dell'auto e l'ennesimo tonfo dei marchi Fiat, tutti tranne l'Alfa Romeo, del 27% a gennaio in Italia, con un'ulteriore riduzione della quota del Lingotto al 29%, disegna un futuro peggiore del presente. Altro che 1,5 milioni di vetture prodotte in Italia, si riaffaccia lo spettro della chiusura, non solo di Termini Imerese, ma di un secondo stabilimento.
È ovvio che gli unici a non aver colpa di questo crack sono i lavoratori della Fiat, tanto quelli che hanno votato sì quanto quelli che non si sono piegati al ricatto. Senza nuovi modelli è naturale che la Fiat vada a rotoli, e senza investimenti adeguati nella ricerca, nell'innovazione, in nuovi propulsori ecocompatibili, non ci sarà futuro per la multinazionale italiana delle quattro ruote. L'unico risultato del bombardamento di Marchionne contro i lavoratori e contro la Fiom è di natura puramente ideologica: aver diviso il suo stesso «esercito», quei «soldati» che vorrebbe trasformare in rematori obbedienti e senza diritti di una nave da guerra senza munizioni e senza armi (le automobili vendibili).
A Marchionne sta a cuore la Chrysler, non la Fiat. I suv che dice di voler fare a Mirafiori servirebbero solo a esportare in Italia gli annessi motori costruiti Oltreoceano, per rispettare gli accordi stipulati con Obama e scalare un altro pezzetto di Chrysler a danno del sindacato americano. I gargarismi sulla globalizzazione che impone a tutti la stessa legge sono l'ennesimo imbroglio di Marchionne, di chi al governo gli spiana la strada, di chi ha lasciato soli gli operai della Fiat.