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giovedì 24 novembre 2011

I LAVORATORI DEVONO SAPERE!


La disdetta di tutti gli accordi aziendali, l’uscita dal contratto nazionale e l’estensione a tutti lavoratori del Gruppo Fiat dell’accordo di Pomigliano è un gesto che noi respingiamo perché indebolisce le lavoratrici ed i lavoratori del Gruppo Fiat, isolandoli da tutti gli altri lavoratori metalmeccanici. Cancella la storia contrattuale e normativa di ogni singolo stabilimento del gruppo azzerando tutti gli accordi aziendali esistenti.
Tutto questo avviene in un clima di incertezza sul futuro degli investimenti della Fiat negli stabilimenti italiani, dall’auto a i veicoli industriali, dalla componentistica alle macchine movimento terra. Si scaricano i costi della crisi in molti stabilimenti, già colpiti dalla cassa integrazione imponendo alle lavoratrici ed ai lavoratori turnazioni più lunghe senza contrattazione fino ai 18 turni, 120 ore di straordinario comandato, spostamento della mensa a fine turno, taglio di 10 minuti delle pause, penalizzazioni per i malati. Imponendo, anche, sanzioni ai lavoratori ed ai sindacati che dovessero attuare delle proteste. Tutto ciò in nome di un recupero di competitività e di affidabilità scaricato sulle condizioni di lavoro e di libertà delle lavoratrici e dei lavoratori.
Negli scorsi mesi avevano spiegato che non esisteva un modello Pomigliano, mentre in molti stabilimenti le gerarchie aziendali e le direzioni del personale si erano affannate a rassicurare i lavoratori che nelle altre fabbriche del Gruppo non sarebbe mai successo.
Ora, purtroppo, come noi avevamo sostenuto, coinvolge tutti
Infine, alle lavoratrici ed ai lavoratori verrà impedito, dal 1 gennaio, di scegliersi liberamente il proprio sindacato e di eleggere i propri rappresentanti sindacali che verranno, invece, indicati dal sindacato esterno alla fabbrica, limitando così la democrazia e la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per queste ragioni la Fiom Cgil ha deciso di distribuire l’accordo di Pomigliano a tutti i lavoratori del Gruppo Fiat, in modo che, ognuno di noi, possa leggere e conoscere come cambieranno le condizioni di libertà e di lavoro a partire dal 1 gennaio.

Per queste ragioni abbiamo indetto 2 ore di sciopero con assemblea:

contro la cancellazione del CCNL, contro l’estensione degli accordi di Pomigliano a tutte le lavoratrici e i lavoratori del Gruppo Fiat!

SI RIPARTE DAL NO AL GOVERNO MONTI


Mi dispiace tanto, ma questa volta non sono proprio d’accordocon il mio amico Marco Revelli. In tutti questi anni ci siamo sempre trovati dalla stessa parte. Questa volta no. Io non bacio il rospo e mi preparo a fare tutto quel che mi è possibile per mandarlo via.
Confesso che non sono sceso in piazza con la bandiera tricolore per festeggiare la caduta di Berlusconi. Ho passato questi ultimi 17 anni a combattere Berlusconi, la sua cultura, le sue prepotenze. Prima ho fatto lo stesso con il suo maestro Craxi. Eppure la sera del 12 novembre non l’ho sentita come una liberazione. I paragoni storici che si stanno facendo mi paiono fuorvianti. Come Marco Revelli non vedo nessun 25 aprile in atto. Non mi risulta che il governo di allora fosse di larghe intese tra Cln e Repubblica sociale. Ma non vedo nemmeno un chiaro 25 luglio, se non per l’annuncio del governo Badoglio: “la guerra continua”.
Se proprio si deve ricorrere ai paragoni storici, bisogna tornare all’Europa del 1914. Al suicidio di un continente nel nome della guerra e del nazionalismo, e alla corrispondente dissoluzione di gran parte della sinistra socialdemocratica e dei sindacati. Oggi per fortuna non siamo (ancora?) a quel punto ma è sicuramente in atto un suicidio e una dissoluzione dell’Europa e della sinistra in essa. La guerra del debito, scatenata in tutto il continente, sta mettendo in crisi democrazia e conquiste sociali. Tutti i governi europei sono soggetti alle stesse scelte e agli stessi indirizzi economici. Poi, benignamente, questa tirannia finanziaria ci concede la facoltà di accettarla. Ma non si può dire di no. Il governo Greco è stato destituito perché voleva fare un referendum. In Italia le elezioni politiche immediate farebbero salire lo spread e quindi non si fanno.
A me tutto è più chiaro da un anno e mezzo, da quando Marchionne disse agli operai di Pomigliano che se volevano lavorare nell’epoca della globalizzazione, dovevano rinunciare a tutti i loro diritti. E aggiunse che potevano solo votare sì al referendum sul suo diktat, perché il no avrebbe comportato la distruzione dell’azienda. Marchionne, fino a poco tempo prima incensato come borghese illuminato, così come oggi Monti, ottenne il consenso pressoché unanime del parlamento italiano.
Il governo Monti è espressione diretta del grande capitale italiano e internazionale, con suoi intellettuali organici di valore. E’ la prima volta che questo avviene nella storia della nostra repubblica ed è sicuramente un segno della crisi totale della classe politica. In questi venti anni il padronato italiano ha alternato politiche di rottura populista e politiche di concertazione democratica. L’obiettivo era sempre lo stesso, contenere il salario ed estendere flessibilità e precarietà, allargare la sfera del profitto con le privatizzazioni. Quando le condizioni lo permettevano e si sentiva particolarmente forte, il padronato italiano ricorreva a Berlusconi e alla destra. Se la risposta sociale e politica cresceva, allora si tornava alla concertazione. Quest’ultima ammorbidiva le scelte, le rallentava, ma non ne fermava la direzione di fondo.
La novità è che oggi il sistema economico dominante salta qualsiasi mediazione politica, non si fida più non solo di Berlusconi, ma anche dell’opposizione e decide di agire in proprio. Altro che governo tecnico, questo è uno dei più politici e ideologici tra i governi della repubblica. E’ il governo che più nettamente sposa l’ideologia neoliberale.
La crisi economica mondiale ha travolto la ridicola classe politica italiana, così come è toccato ad altre del continente. Non bisogna credere ai complotti, anche se oggi la stampa annuncia un programma segreto della Germania per controllare le economie in crisi. Sarà quindi un puro caso, ma tutti i paesi piigs sono stati posti rapidamente sotto controllo. Se si fossero messi assieme, se avessero fatto una comune politica del debito, come a un certo punto i paesi dell’America Latina, banche tedesche e Fondo monetario internazionale sarebbero dovuti venire a patti. La ridicola classe politica europea è invece stata facilmente travolta e commissariata.
Anche a me fa piacere la sobrietà e lo stile del nuovo governo, contrapposto ai nani e alle ballerine, ai bordelli, alle barzellette che facevano piangere, al degrado culturale e civile che ispirava quello precedente. Tuttavia la mia esperienza sindacale mi ha insegnato che il padrone per bene, quello che dice “siamo tutti nella stessa barca tutti dobbiamo fare gli stessi sacrifici”, può farti molto più male del padrone sfacciato e impresentabile.
Questo governo ha un mandato chiaro, quello della Bce. E’ il mandato di quel capitalismo internazionale che pensa di affrontare la sua stessa crisi con riforme neoliberali, come negli ultimi trent’anni. Con la solita ipocrisia dell’equità e del rigore, si mettono in discussione ancora una volta i diritti pensionistici dei lavoratori, la tutela contro i licenziamenti, i diritti contrattuali, i diritti punto e basta. Si risponde al referendum sull’acqua con le privatizzazioni e si annuncia quella mostruosità giuridica ed economica del pareggio di bilancio in Costituzione. Si risponde agli studenti in sciopero esaltando la riforma Gelmini. Sì, certo, la sobrietà del governo produrrà dei contentini. Un po’ di privilegi di casta politica verranno tagliati, ma solo per giustificare i sacrifici sociali. Si annuncia che non ci sarà massacro sociale. Ma questo è già in atto. E’ la crisi, è la recessione che stanno producendo una drammatica selezione sociale. Il governo può anche non volere il massacro, ma se opera con riforme neoliberali lo agevola e lo accresce.
E’ la ricetta neoliberista che è destinata a fallire. Perché non si riuscirà, per quanti sacrifici si impongano, a far ripartire il meccanismo della globalizzazione. Per questo sarebbe necessario prima di tutto prendere atto della crisi di sistema, cosa che Monti nella sua relazione programmatica si è ben guardato dal fare. E costruire una vera alternativa. Il debito non può essere pagato da un’economia in recessione, pretendere di farlo a tutti i costi significa aggravare la recessione e appesantire il debito. E’ successo alla Grecia e succederà all’Italia, nonostante la professionalità di Monti.
Bisogna partire dall’opposizione al nuovo governo per costruire un’alternativa economica, sociale e politica al programma della Bce e del capitalismo internazionale. Sarà dura, ma si riparte dal no a questo governo.
Giorgio Cremaschi – da il manifesto
(23 novembre 2011)