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sabato 30 giugno 2012

LA COSTITUZIONE ESCE DALLE FABBRICHE


di Giorgio Cremaschi (...) 
Il 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro.  Oggi ne esce, con la controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non e' più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all' attacco all'articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non e' stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata. Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil.  Non e' vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. E' vero anzi il contrario.
A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C'era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese. Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed e' per questo che non si e' fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si e' trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l'articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte e' saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I  sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva  monti, viva l'euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà', e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell'assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come e' maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per  il impedire che le cose andassero così.Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tuttomondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne e' più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti  e del Pd che lo sostiene. Dei  quali dovremo essere solo intransigenti avversari.

mercoledì 27 giugno 2012

ART.18, UN VOTO COSTITUENTE


di Giorgio Cremaschi

L'approvazione della controriforma del lavoro con voto di fiducia cambia definitivamente il quadro sociale e politico del paese, e' un atto costituente.
Sul piano sociale la legge sanziona il successo del modello Marchionne. Che paradossalmente si afferma in tutto il paese proprio mentre in fiat sta fallendo il progetto di rilancio industriale. Non e' un caso.
Il progetto imposto a Pomigliano due anni fa rappresentava infatti non solo un modello per la fiat, ma un via indicata a tutte le forze dominanti per affrontare la crisi scaricandola sul lavoro. E come tale si e' affermato grazie al governo Monti e alla Bce. Questa via chiede all' Italia di stare sul mercato  diventando un paese low cost, con precarietà, supersfruttamento, distruzione dei diritti sociali.
La legge Fornero rappresenta il culmine ideologico del progetto di controriforma sociale che costruisce questa via. Con essa la precarietà del lavoro diventa permanente per tutte e tutti e lo statuto di lavoratori viene sostanzialmente abolito. Dopo questa legge in tutti il luoghi di lavoro cresceranno arbitrio e oppressione, l'Italia sarà ancora più ingiusta e la sua democrazia ancora più evanescente. (...)
Ma ci saranno anche effetti sul sindacato e sulla politica. La Cgil subisce qui la sua più grave  sconfitta del dopoguerra, tanto più dura perché il principale sindacato italiano non ha lottato davvero per evitarla.
Sul piano politico e' evidente che il voto in parlamento suggella la fine del centrosinistra classico, per dirla con Vendola, a favore di quello montiano allargato a casini.
Allora su entrambi i fronti, sindacale  politico, bisogna costruire la risposta e l'alternativa.
Sul  piano sindacale bisogna operare per l'unità di tutte le forze che dentro e fuori la Cgil, dicono no a Monti e a Fornero, per ricostruire la forza del sindacalismo di classe. . Questa unità e' incompatibile e alternativa a quella con Bonanni ed Angeletti,  che invece difendono la controriforma così come stanno con Marchionne.
Sul piano politico bisogna costruire  a sinistra l'alternativa al Pd e al suo sistema di alleanze,  come e' avvenuto in Grecia rispetto al Pasok.
Questi due processi avranno sicuramente tempi e modalità diverse, ma ci saranno perché sono necessari.
Coloro che dicono sì alla controriforma Fornero stanno dall'altra parte, e noi dobbiamo ricostruire la nostra parte contro di loro.

lunedì 25 giugno 2012


La Fiom contro Ichino: "Non è con la libertà di licenziare che si aumenta l'occupazione"
Il Professor Ichino sa bene che con questa controriforma del Lavoro l’Italia si appresta a fare un salto indietro nel tempo per quanto riguarda i diritti dei lavoratori.
Negli anni in cui nella legislazione italiana si arrivò ad introdurre l’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, nel parlamento i Deputati di allora si chiedevano per quale motivo per tanti anni non avevano dato alcuna risposta alla tutela della dignità umana, che anche la dottrina cattolica considerava principio e fondamento ontologico di ogni valore umano, in una visione dell’uomo che andava ricondotta a se stesso, liberandolo da ogni alienazione e sfruttamento.
In una fase drammatica quale quella che sta attraversando il paese ed i lavoratori, la riforma Fornero si propone invece di introdurre la libertà, di fatto, di licenziare anche senza giustificato motivo i lavoratori e riduce drasticamente fondamentali ammortizzatori sociali, come la mobilità, senza sostituirli con strumenti di pari livello per tutelare i lavoratori.
Sembra che il Professor Ichino racconti un mondo capovolto. Durante una drammatica crisi come si fa a pensare di poter favorire l’aumento dell’occupazione tagliando gli strumenti di sostegno al reddito e introducendo la libertà di licenziare?
Non è neanche vero che questa riforma ci allinea in materia di lavoro agli altri paesi in Europa.Sa bene il Professor Ichino che le tutele, i diritti, le retribuzioni e lo stato sociale che ha un lavoratore tedesco, ma anche francese, sono completamente più favorevoli rispetto a quelli di un lavoratore italiano.
Il problema oggi è aprire una seria discussione sulla politica industriale, su cosa e come si produce, sul come si tutelano le aziende in difficoltà, come si creano nuovi posti di lavoro e si aumenta il reddito di chi lavora, ma probabilmente è più facile continuare a raccontare, come da 20 anni a questa parte, che riducendo i diritti, introducendo flessibilità, precarietà e potendo liberamente licenziare chi lavora porta il paese al progresso.
Siamo aperti a qualsiasi confronto di merito sulla materia, nel frattempo sarebbe bene che i parlamentari si fermassero e non si assumessero la responsabilità storica di equiparare di nuovo il lavoro a una merce, perché questo segnerebbe una regressione sociale e un decadimento dell’intero paese.

sabato 23 giugno 2012

CIRO L'OPERAIO


Se volete sapere dove sta di casa la dignità dovete avere la pazienza di portarvi a Torre Annunziata, provincia di Napoli, qui abita Ciro D’Alessio, trent’anni, di professione operaio metalmeccanico. E’ qui, in questo appartamento ordinato, dove ogni cosa è al suo posto, tranne i libri che parlano di lavoro e politica sparsi dovunque, che ieri mattina è esplosa la felicità. “Stavo dormendo, mi ha svegliato il trillo del telefono. Era un compagno operaio di Torino. Urlava, non capivo una parola, mi diceva solo auguri, auguri. Non è il mio compleanno, perché mi fai gli auguri?, gli ho detto. E lui è scoppiato a ridere come un pazzo e mi ha scandito solo due parole: avete vinto. La Fiat vi deve riassumere. Tornate in fabbrica. A quel punto ho pianto, mi tremavano le mani, giravo per la casa come uno scemo. Noi, dei piccoli Davide, abbiamo sconfitto il gigante di Torino, la Fiat e il signor Marchionne. Noi che siamo considerati meno di nessuno, abbiamo dato uno schiaffo all’arroganza. Noi, operai, che abbiamo imparato le cose che sappiamo nelle sedi del nostro sindacato, sui libri che abbiamo letto a fatica, abbiamo difeso la Costituzione e le leggi dello Stato”. Ciro è incontenibile, la gioia gli affoga gli occhi in un mare di lacrime. Chi non ha visto questi operai davanti ai cancelli della loro fabbrica nelle settimane durissime del referendum imposto da Marchionne, non può capire cos’è l’inferno Fiat. “La prima telefonata l’ho fatta a mia moglie Maria Rosaria. Le ho detto abbiamo vinto Rosà, ce l’abbiamo fatta. Non sentivo la sua voce, solo singhiozzi”. Birotti, Canonico, Ciccarelli, D’Alessio, Dell’Isola, Di Costanzo, Di Luca, D’Onofrio, Fiorillo, Maione, Manganiello, Manzo, Mellone, Niglio, Petillo, Pulcrano, Rea, Ruggiero, Sangiovanni. Nomi e cognomi di operai meridionali, sono quelli che hanno piegato il colosso Fiat. Racconta Ciro. “Hanno riassunto 2135 operai in questi mesi, ogni volta usciva un elenco, ed ogni volta il tuo nome non c’era perché in tasca avevi la tessera sgradita a Marchionne, quella della Fiom. Tornavi a casa e tua moglie ti guardava negli occhi senza chiederti nulla. Lo capiva da sola. I compagni ti telefonavano per dirti che neppure loro c’erano. Volevano cancellarti dal lavoro per sempre. Farti vergognare di fronte ai tuoi figli. Papà non lavora, non lo chiamano perché sta con quelli della Fiom. A papà lo rovina l’orgoglio, papà tene ‘a capa tosta. Bastava cambiare tessera ed era fatta. Tornavi in fabbrica, ma a testa bassa. Guarda, leggi questa…”. Ciro mi mostra la mail di un operaio costretto a strappare la tessera Fiom per essere riassunto. “E’ la prima volta che provo vergogna per quello che ho fatto…”. Ciro ricorda. “I compagni che sono stati con noi. Ecco, Carmen, 35 anni, separata con tre figli. Ogni volta che chiedeva all’assistente sociale della Fiat perché, nonostante la sua condizione non veniva chiamata, le facevano capire che per la tessera del sindacato. Carmen ha stretto la cinghia lei e i suoi figli e ha resistito. Penso a chi ha mollato e oggi era felice per noi. Penso anche alla politica che non ha capito che a Pomigliano si stava giocando la partita dei diritti e della democrazia”. Ciro, capelli rasati a zero, orecchino e tatuaggi d’ordinanza giovanile, non ce la fa a nascondere l’euforia. Franco Percuoco, il suo compagno di mille battaglie, durante la conferenza stampa del suo sindacato non ha retto. Ha visto Maurizio Landini commuoversi quando ha ringraziato gli operai di Pomigliano per i sacrifici fatti, ed è scoppiato in lacrime pure lui. E domani? “La sentenza è esecutiva – dice Ciro – gli operai che sono in fabbrica mi hanno scritto. Vi aspettiamo sulla linea. Io non vedo l’ora, ma dovremo combattere ancora. Mia moglie stamattina mi chiesto cosa avrei fatto. Mi metto la maglietta e vado a Roma, le ho risposto”. La maglietta è quella della Fiom. E’ rossa di colore e ha una scritta: “Pomigliano non si piega”. 
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2012)

venerdì 22 giugno 2012

SE LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI


DI LORIS CAMPETTI
Il castello di Sergio Marchionne si è disfatto come una formina di sabbia quando arriva un'onda più potente e distrugge la costruzione con le torri allestita dal bambino in costume. Anche il castello di Marchionne era costruito sulla sabbia e una sentenza del tribunale di Roma l'ha buttato giù, semplicemente rimarcando un dato ovvio ma mai acquisito davvero: in Italia la legge vale anche per la Fiat. La Fiat ha discriminato gli operai iscritti alla Fiom per le loro idee e per colpire il sindacato da cui hanno deciso di farsi rappresentare. Su 2091 nuovi (si fa per dire) assunti non ce n'è uno solo con quella tessera in tasca. E questo non si può fare da noi, neanche invocando la produttività e la globalizzazione, il dio mercato e la madonna spread. Di conseguenza la multinazionale, già torinese, è costretta dalla sentenza ad assumere subito, oggi, nella nuova società di Pomigliano - nuova solo per mettere fuori il sindacato di Landini - 145 operai iscritti alla Fiom.E a pagare 3 mila euro a ciascuno dei 19 lavoratori che hanno intentato causa all'azienda, l'intero gruppo dirigente dei metalmeccanici Cgil sotto il Vesuvio.
Non basta. Siccome una sentenza precedente targata Torino obbliga la Fiat a riconoscere il diritto della Fiom a eleggere le sue rappresentanze, ora che 145 militanti di questo sindacato rientreranno in fabbrica automaticamente potranno darsi una rappresentanza e riprendere quell'attività democratica che nel castello di sabbia di Marchionne era stata loro impedita. Non è una vittoria della Fiom ma della democrazia perché riconosce ai lavoratori il diritto di scegliere il proprio sindacato e condanna la pretesa della Fiat di decidere al loro posto.La sentenza di Roma rappresenta la vittoria di una straordinaria comunità operaia che ha resistito all'aggressone di un padrone prepotente che ha tentato in tutti i modi, con l'aiuto dei sindacati complici, dei governi, della politica subalterna di espellere i diritti dalla fabbrica. Franco non riesce a trattenere le lacrime, Antonio che è appena sbarcato da un congresso internazionale del sindacato dell'industria a Copenhagen si stropiccia gli occhi assonnati e non riesce a parlare. Maurizio Landini fatica a nascondere una commozione sincera e per primi ringrazia gli operai di Pomigliano che hanno resistito a minacce, ricatti e sirene che consigliavano di consegnare lo scalpo in cambio del posto. La controprova della discriminazione messa in atto dalla Fiat sta nel fatto che 20 operai di Pomigliano sono stati assunti solo dopo aver stracciato la tessera della Fiom. Ciro invece ringrazia le mogli e le compagne degli operai discriminati per aver sopportato e anch'esse resistito. «La cosa più bella questa mattina è stato il pianto a dirotto di mia moglie quando ci hanno telefonato la notizia della sentenza».Dignità e orgoglio sono i pilastri di una resistenza durata due anni, due anni terribili in cassa integrazione perché marchiati a fuoco, con i figli che ti guardano negli occhi «e tu quasi ti vergogni», con i negozianti che non ti fanno più credito, i vicini di casa che non ti salutano, gli ex compagni di fabbrica che se ti incontrano abbassano la testa. Quella di Pomigliano è una storia modernissima che ricorda tante storie del Novecento e persino dell'Ottocento, quando non c'erano la globalizzazione e lo spread e i padroni delle ferriere facevano il bello e soprattutto il cattivo tempo. C'erano anche comunità di resistenti, mondine, minatori, ferrovieri, operai. Poi finalmente l'Italia postfascista si è data una Costituzione e persino uno Statuto dei lavoratori. Poi sono tornati i padroni delle ferriere, la politica è stata a guardare o ha applaudito l'uomo della provvidenza con il golfino, i sindaci democratici hanno detto che se fossero stati operai avrebbero detto sì a Marchionne che cancellava lo sciopero, la mensa, i riposi, la Fiom. I governi hanno assecondato e a Pomigliano sono stati costretti a fare come le mondine, i minatori, i ferrovieri, gli operai dell'Ottocento e del primo Novecento. I media si sono messi in linea. Sono tenaci questi operai ribelli, e generosi perché lottano per tutti e chiedono che tutti e 5 mila tornino al lavoro. E se di lavoro ce n'è poco, si possono sempre fare i contratti di solidarietà seguendo l'esperienza della Volkswagen. Dice Ciro: «Mando un pensiero anche a chi non ce l'ha fatta, a chi preso per la gola ha piegato la testa con la speranza di tornare al lavoro e magari ancora aspetta una chiamata. Non li abbandoneremo. Spero che questa sentenza dia coraggio a chi è stato vinto dalla paura».Anche nella Cgil in molti avevano «consigliato» agli operai di Pomigliano e in seguito a quelli di Mirafiori di mettere da parte orgoglio e principi per mantenere il diritto a fare sindacato in fabbrica. Bella roba. Andrea non si tiene, in un misto di rabbia e di gioia quasi grida: «Marchionne dovrebbe finalmente capire che da questa fabbrica non riuscirà mai a cacciarci». Insomma, Corvo rosso non avrai il mio scalpo.
Come dice il commosso Landini, che deve il suo successo sindacale e mediatico anche all'orgoglio di questa comunità operaia e lo riconosce, «Marchionne dovrebbe capire che la determinazione, la voglia di lavorare e lavorare bene di queste persone farebbero funzionare meglio le sue fabbriche». Chissà che pensa Marchionne, tutti si chiedono cosa potrà mai inventarsi questa volta. Con quale faccia potrebbe reagire annunciando la dipartita dall'Italia (che sta praticando da mesi) perché vogliono fargli rispettare le leggi e le sentenze? La verità è che dei cinquemila dipendenti della vecchia fabbrica di Pomigliano ne ha riassunti solo duemila, perché la Panda non si vende e la Fiat continua a perdere quote nei mercati italiano ed europeo. Però Marchionne pensavava di avere almeno spezzato le reni a quei ribelli della Fiom che come dice Crozza gli tirano i gatti morti sul finestrino. Ha sbagliato i conti, se non si investe in nuovi prodotti si esce dai mercati e infatti investe soltanto negli Usa dove la Chrysler non sta uscendo dal mercato. E sbaglia perché non ha capito di che farina sono fatti gli operai della Fiom di Pomigliano. Resta la speranza, seppur vaga, che tanti errori possano insegnargli qualcosa. Ma è già una grande soddisfazione, questo ci sia consentito, vedere questi nostri amici partenopei piangere di gioia e immaginare la natura diversa delle lacrime di Marchionne.

giovedì 21 giugno 2012

Il Tribunale di Roma ha condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano: 145 iscritti alla Fiom dovranno essere assunti nella fabbrica e 19 iscritti al nostro sindacato avranno anche diritto a 3.000 euro ciascuno per danni


Il Segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione.


“Il Tribunale di Roma ha riconosciuto un comportamento discriminatorio collettivo della Fiat nello stabilimento di Pomigliano, teso ad escludere dalle assunzioni gli iscritti alla Fiom-Cgil.”
“Infatti ad oggi su oltre 2.000 assunzioni effettuate dalla FIP (Fabbrica Italia Pomigliano) sui 5.000 dipendenti già occupati per lo stabilimento Gian Battista Vico della Fiat nessuno di questi è iscritto alla Fiom.”
“Pertanto il giudice del Tribunale di Roma ha ordinato a FIP di cessare il comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti attraverso l’assunzione di 145 lavoratori e lavoratrici iscritti alla Fiom-Cgil e di mantenere nel prosieguo delle operazioni di riassunzione del personale a Pomigliano la non discriminazione nei confronti degli iscritti Fiom.”
“E’ l’ennesima conferma che la Fiat nel nostro Paese si sta muovendo al di fuori di qualsiasi regola di legalità e di rispetto dei principi della nostra Costituzione.”
“E’ necessario che il Governo, il Parlamento, le forze politiche intervengano immediatamente per ripristinare in tutti gli stabilimenti del Gruppo Fiat l’esercizio delle libertà sindacali e dei diritti delle persone che lavorano e per rendere certo il futuro industriale, produttivo ed occupazionale del Gruppo Fiat in Italia.”
“La Fiom considera di fondamentale importanza democratica la sentenza del Tribunale di Roma, che riafferma il principio di eguaglianza e di non discriminazione.”
“Ringraziamo tutte le iscritte e gli iscritti alla Fiom-Cgil che negli stabilimenti Fiat, nonostante le pressioni e le discriminazioni che stanno subendo, con la loro tenacia e la loro dignità difendono i principi costituzionali e l’idea fondamentale di un lavoro con diritti.”


Fiom-Cgil/Ufficio Stampa


mercoledì 20 giugno 2012

SE LA CGIL DICE NO ALLO SCIOPERO GENERALE


di Gianni Rinaldini, Coord.Naz.la CGIL che Vogliamo
da  Il Manifesto, 20.6.2012 

Alla vigilia di un probabile voto di fiducia sul disegno di legge sul mercato del lavoro, ovvero su precarietà, art. 18 e ammortizzatori sociali, la Cgil ha deciso di considerare conclusa questa fase e cambiare pagina per favorire le iniziative unitarie fino ad arrivare a un ipotetico sciopero generale unitario in autunno dai contenuti indefiniti.
E’ stata così cancellata la decisione del precedente comitato direttivo che aveva proclamato 16 ore di sciopero, 8 ore a livello territoriale e 8 ore per lo sciopero generale, contro il ddl sul mercato del lavoro e per riaprire la questione previdenziale.
La segreteria ha gestito quel mandato in modo tale da evitare l’apertura di un conflitto con il governo nel corso dei lavori del Senato, fino alla paradossale decisione alla vigilia dell’atto parlamentare conclusivo di mettere a disposizione le 8 ore di sciopero per le future iniziative unitarie, di cui non si conoscono i contenuti.
Nel frattempo il ddl è stato ulteriormente peggiorato.
Un vero e proprio ribaltamento, che svela una totale mancanza di trasparenza nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno scioperato e manifestato nel corso di queste settimane, senza che il gruppo dirigente della Cgil avesse il pudore di dire esplicitamente che stava operando in tutt’altra direzione, a partire dal comunicato della segreteria che considerava positiva la soluzione del nuovo art. 14 che cancella di fatto l’art. 18.
Per questa ragione come Coordinatore dell’area di minoranza ho annunciato la nostra non partecipazione al voto del direttivo perché non è accettabile che l’organizzazione venga gestita in violazione delle più elementari regole democratiche.
Se queste erano le intenzioni, il gruppo dirigente aveva il dovere di esplicitarle convocando il direttivo in tempi utili per confermare o disdire lo sciopero generale della Cgil e non convocarlo alla vigilia dell’ultimo passaggio parlamentare.
Questa deriva nella vita interna della Cgil è l’ultimo atto in ordine di tempo di una gestione dell’organizzazione sconosciuta nella mia lunga esperienza sindacale.
Una gestione dove si sostituisce l’autoritarismo all’autorevolezza di un gruppo dirigente.
Vengono ridotti, in alcuni casi annullati, gli spazi democratici di confronto e di discussione con la pratica di accordi sottoscritti dalla segreteria e il pronunciamento successivo del direttivo che assume ogni volta il significato del voto di fiducia al segretario generale, pensando cosi di mettere a tacere la dialettica interna, che esiste nella Organizzazione, e che va ben oltre il rapporto congressuale maggioranza e minoranza.
La stessa consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori, quando si realizza come sull’accordo del 28 giugno, non ha alcuna possibilità di svolgimento e verifica democratica correndo il rischio di svilire lo strumento della democrazia.
Resta il fatto che in questi mesi il governo ha utilizzato la crisi per ridisegnare l’intero assetto sociale del nostro Paese: sistema previdenziale, precarietà, art.18 e tutela nel lavoro e ammortizzatori sociali, nell’assenza di una reale iniziativa di contrasto da parte della Cgil, a differenza di ciò che accade negli altri paesi europei.
La mobilitazione cresciuta negli ultimi mesi, anche in previsione dello sciopero generale annunciato, è stata smontata in primo luogo dalla stessa Cgil, gli stessi scioperi da proclamare localmente si sono svolti soltanto in alcuni territori, isolando nella pratica l’iniziativa e la generosità dei metalmeccanici.
In questo modo si è consegnato alla mediazione tra le forze politiche la definizione di questioni sociali che avranno un effetto devastante sulla condizione di lavoro e di vita di milioni di lavoratori, precari e pensionati.
I rapporti unitari, per essere ricostruiti, devono svilupparsi in assoluta chiarezza delle reciproche posizioni.
Affermare che non è possibile proclamare lo sciopero generale come Cgil perché in questo modo non si favorisce la crescita dei rapporti unitari, ovviamente su altre questioni, e non su quelle che ho prima richiamato, significa associare alla subalternità alle forze politiche, la subalternità alle altre organizzazioni sindacali.
Un vero capolavoro.
Infine, il documento finale del direttivo nazionale richiama l’importanza della manifestazione unitaria del 2 luglio in Campania, mentre negli stabilimenti Fiat le lavoratrici ed i lavoratori iscritti alla Fiom-Cgil non vengono assunti a Pomigliano.
Esiste un problema democratico non eludibile che va ben oltre l’accordo del 28 giugno 2011, e riguarda il ripristino di elementari diritti fondamentali, come il fatto che una organizzazione sindacale non può essere espulsa dagli stabilimenti.
Questo è un aspetto preliminare nel rapporto con Cisl e Uil che non può essere condizionato ad alcun altro aspetto di natura contrattuale e/o di accordi sindacali perché riguarda la democrazia nel nostro paese, e qualsiasi cedimento su questo versante assume il significato della collusione.
La crisi della rappresentanza politica non è cosa diversa dalla crisi della rappresentanza sociale.
Non aprire un confronto a tutto campo che abbia la valenza di un Congresso straordinario temo che preluda a una deriva preoccupante della Cgil, della funzione e del ruolo delle organizzazioni sindacali.
Tutto ciò avviene mentre il disagio sociale cresce paurosamente con un impasto di rabbia, frustrazione e rassegnazione che non trovano oggi alcuna rappresentanza portatrice di un segnale di speranza per il futuro.
Quella che viene chiamata antipolitica fa parte dell’umore popolare di cui anche noi portiamo responsabilità. E’ da qui che dovrebbe partire la discussione.

domenica 17 giugno 2012

MARTEDI' 12 GIUGNO
1 ORA DI SCIOPERO IN ASSEMBLEA
ritrovo davanti ai cancelli
I LAVORATORI DEVONO SAPERE

Siamo ben consapevoli del difficile momento delle lavoratrici e dei lavoratori presenti nel nostro territorio e a livello nazionale.
La crisi mascherata e portata avanti da MONTI e dal trio delle meraviglie BERSANI ALFANO CASINI risulta tragica e quasi mortale per quasi tutti i lavoratori…Ma no per tecnici, sobri, evasori e scusate il termine paraculati del potere,mettendo in conflitto quella parte d’ Italia sana e meritevole di politica e riforme serie per la crescita.
La vera priorità sia economica e sociale del paese è riunire ed estendere i diritti a tutti i lavoratori,per difendere l’occupazione, superare la precarietà e creare nuovi posti di lavoro.

Chiediamo al Parlamento di annullare le leggi che mettono in discussione i diritti e la democrazia nei luoghi di lavoro e il diritto alla contrattazione collettiva a partire alla cancellazione dell’art. 8 della manovra Berlusconi – Sacconi che permette di derogare ai contratti nazionali.

Chiediamo una legge sulla rappresentanza, che garantisca il pluralismo sindacale e rappresentativo, previsto dalla nostra Costituzione.

Dobbiamo salvare e salvaguardare l’ art. 18 e la dignità nei posti di lavoro

Dobbiamo modificare il disegno di legge sul mercato del lavoro amato e osannato dalla nostra piccola Ministra Fornero, che in realtà non risolve il problema della flessibilità del lavoro in entrata e riduce gli ammortizzatori sociali rendendo il futuro del nostro paese ancora più incerto e pericoloso.

Contrastare con forza la precarietà modificando la controriforma delle pensioni garantendo il diritto alla pensione a partire dai lavoratori esodati, senza lavoro e senza pensione.

Riconquistare il Contratto nazionale

Per tutte queste ragioni la Rsu della Fiom Cgil Cnh di Jesi proclama

Un’ora di sciopero in assemblea martedì 12 giugno dalle 9,30 alle 10,30 e dalle 15,30 alle 16,30 di fronte ai cancelli dello stabilimento, alla presenza del Segretario Regionale della FIOM Giuseppe Ciarrocchi, per confrontarci sul percorso futuro della FIOM che certamente non demorde e continua a resistere nonostante tutto il mondo politico e sindacale sia contrario alle nostre scelte, iniziative e mobilitazioni.

FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE
 Si auspica la massima partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori allo sciopero


Jesi, 18/06/2012                                                                  La RSU FIOM CGIL CNH

venerdì 15 giugno 2012



La Fiom ha deciso tre giornate di mobilitazione il 13, il 14 e il 15 giugno contro il disegno di legge sul mercato del lavoro in discussione in Parlamento, per la difesa dell’articolo 18, per la democrazia, il contratto, il rispetto dei diritti dei cosiddetti “esodati”, per l’intervento del Governo nelle crisi industriali e un nuovo modello di sviluppo.

sabato 9 giugno 2012


Watch live streaming video from fiomnet at livestream.com

mercoledì 6 giugno 2012


INCONTRI DI REGIME

Venerdì prossimo 8 Giugno la Fiat incontrerà in stabilimento i sindacalisti appena 
eletti nel voto “farsa” di qualche giorno fa. A dimostrazione dell'anti-sindacalità 
del nuovoContratto Fiat, la maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori sarà 
privata della rappresentanza al tavolo con l'Azienda, l'incontro infatti vedrà 
l'esclusione del sindacato maggiormente rappresentativo. Nonostante ciò vorremmo 
esplicitare alcune questioni.

Dopo mesi di silenzio complice di Fim Uilm Fismic e Capi, chiediamo di sapere quali
sono le prospettive produttive e occupazionali dello stabilimento. Le scelte di Fiat
sui nuovi modelli e su come questa intende mantenere e rafforzare le “produzioni”
attualmente presenti nel sito produttivo jesino.

La paga dei lavoratori del mese scorso è stata una delle più basse di sempre. Un 3°
livello con i turni a raggiunto a malapena i 1300 euro; sintomo inequivocabile che in
Fiat esiste un problema del salario e che il nuovo CCSL non aumenta le buste paga
di chi lavora.
A fronte di questo Fiat Industrial nel 2011 ha conseguito ricavi per un +13,8% 
rispetto all'anno precedente e redistribuito nel 2012 agli azionisti 240 milioni di 
euro, oltre ai famosi soldi dati ai Capi. Ci chiediamo, quanti di quei ricavi saranno 
redistribuiti  ai lavoratori italiani?
Questo tenuto conto del fatto che un operaio della Ww riceverà un Premio di 7500 euro.

Sono mesi che questa Azienda rileva “i tempi” sulle linee e sui sottogruppi.
L'impressione è che alla qualità del trattore e dell'organizzazione del lavoro si 
preferisca unicamente recuperare produttività su “chi fa il trattore”, con il 
classico e desueto taglio dei tempi sulle linee di montaggio.
Ci può essere futuro produttivo se in certe postazioni non c'è nemmeno il tempo 
per andare a pisciare? È questa la via per raggiungere l'argento nel WCM?

La Rsu della Fiom Cgil ritiene ancora una volta necessario che le RSA che ne 
hanno la titolarità convochino le Assemblee per discutere del futuro dello 
stabilimento dell'attacco ai diritti che questo governo ha messo in campo.

p.s. Informiamo le lavoratrici e i lavoratori che in questi giorni i delegati della 
Fiom in fabbrica raccoglieranno soldi che manderemo a chi è stato colpito dal terremoto.



Jesi, 4 Giugno 2012                                      La Rsu della Fiom Cgil

venerdì 1 giugno 2012


Contro riforma del Mercato del Lavoro 

di male in peggio 


Il nuovo testo del Decreto legislativo sulla “riforma  del Mercato del Lavoro” presentato dal Governo  al Parlamento -  che è pure stato sottoposto al voto di fiducia in Senato! - peggiora il già pessimo testo della Ministra Fornero, aggravando quanto era già previsto sul lavoro precario, rendendo ancora più facile licenziare e indebolendo ulteriormente gli ammortizzatori sociali.
Adesso il testo votato al Senato andrà in discussione alla Camera; è necessario mettere in atto, durante l’iter parlamentare, una forte mobilitazione di  tutte e tutti chiedere che il Parlamento NON approvi questo disegno di legge.
Il tanto sbandierato obiettivo del Governo di ridurre la precarietà si è tradotto in un ulteriore peggioramento delle  condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici precarie.
Per i  Contratti di lavoro a termine sono cancellate le causali nelle assunzioni con contratti di lavoro inferiori a 12 mesi  ( il testo della Ministra indicava sei mesi) e inoltre con accordi interconfederali, contratti nazionali di categoria, contratti territoriali e aziendali si può derogare alle causali per tutti i contratti a termine, a prescindere dalla loro durata, fino al 6% dei lavoratori occupati.
Questo significa che il contratto a tempo indeterminato diventa un miraggio!
Per i Lavoratori interinali con contratto a termine la stabilizzazione avverrà solo dopo 36 mesi, ma il loro rapporto di lavoro sarà a tempo indeterminato con le agenzie interinali e non con l’azienda nella quale lavorano.
Per gli Apprendisti: si consente alle aziende di assumere nuovi apprendisti anche se non hanno confermato nessuno dei contratti di apprendistato precedenti, in barba alle percentuali di conferma previste dal CCNL dei metalmeccanici , già ridotte dalla ministra Fornero.
Sui Licenziamenti, non solo si conferma la cancellazione dell’art. 18, per cui di fronte ad un licenziamento illegittimo non è più automatica la reintegrazione nel posto di lavoro, ma sono state date ulteriori possibilità alle aziende per licenziare.
E sugli Ammortizzatori sociali, oltre ad aver cancellato la cassa integrazione per cessazione di attività, la legge 223 e aver ridotto la durata del trattamento di mobilità, hanno anche deciso che le aziende nei prossimi tre anni non dovranno pagare il contributo previsto dal testo della Fornero per i contratti di lavoro a termine. Il che significa che le mancate entrate pari a 7 milioni di euro per ogni anno vengono compensate esclusivamente dai fondi  per il sostegno all'occupazione giovanile e delle donne.
Hanno spiegato che la riforma serviva per estendere a tutti gli ammortizzatori sociali, in realtà hanno deciso di non far pagare le imprese, non estendono gli ammortizzatori e scaricano i costi sui giovani e sulle donne.
Una contro-riforma che riduce le tutele e i diritti, conferma la precarietà, non favorisce l’occupazione.
Facciamo sentire al Governo e al Parlamento il nostro dissenso e la nostra determinazione a:

  • estendere i diritti a chi non li ha,
  • superare la precarietà,
  • contrastare e impedire la manomissione dell’art. 18,
  • annullare gli ultimi interventi sulle pensioni e garantire la pensione a chi ha perso il posto di lavoro e oggi non raggiunge più i requisiti  a causa della riforma.

scendiamo in piazza!