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sabato 23 giugno 2012

CIRO L'OPERAIO


Se volete sapere dove sta di casa la dignità dovete avere la pazienza di portarvi a Torre Annunziata, provincia di Napoli, qui abita Ciro D’Alessio, trent’anni, di professione operaio metalmeccanico. E’ qui, in questo appartamento ordinato, dove ogni cosa è al suo posto, tranne i libri che parlano di lavoro e politica sparsi dovunque, che ieri mattina è esplosa la felicità. “Stavo dormendo, mi ha svegliato il trillo del telefono. Era un compagno operaio di Torino. Urlava, non capivo una parola, mi diceva solo auguri, auguri. Non è il mio compleanno, perché mi fai gli auguri?, gli ho detto. E lui è scoppiato a ridere come un pazzo e mi ha scandito solo due parole: avete vinto. La Fiat vi deve riassumere. Tornate in fabbrica. A quel punto ho pianto, mi tremavano le mani, giravo per la casa come uno scemo. Noi, dei piccoli Davide, abbiamo sconfitto il gigante di Torino, la Fiat e il signor Marchionne. Noi che siamo considerati meno di nessuno, abbiamo dato uno schiaffo all’arroganza. Noi, operai, che abbiamo imparato le cose che sappiamo nelle sedi del nostro sindacato, sui libri che abbiamo letto a fatica, abbiamo difeso la Costituzione e le leggi dello Stato”. Ciro è incontenibile, la gioia gli affoga gli occhi in un mare di lacrime. Chi non ha visto questi operai davanti ai cancelli della loro fabbrica nelle settimane durissime del referendum imposto da Marchionne, non può capire cos’è l’inferno Fiat. “La prima telefonata l’ho fatta a mia moglie Maria Rosaria. Le ho detto abbiamo vinto Rosà, ce l’abbiamo fatta. Non sentivo la sua voce, solo singhiozzi”. Birotti, Canonico, Ciccarelli, D’Alessio, Dell’Isola, Di Costanzo, Di Luca, D’Onofrio, Fiorillo, Maione, Manganiello, Manzo, Mellone, Niglio, Petillo, Pulcrano, Rea, Ruggiero, Sangiovanni. Nomi e cognomi di operai meridionali, sono quelli che hanno piegato il colosso Fiat. Racconta Ciro. “Hanno riassunto 2135 operai in questi mesi, ogni volta usciva un elenco, ed ogni volta il tuo nome non c’era perché in tasca avevi la tessera sgradita a Marchionne, quella della Fiom. Tornavi a casa e tua moglie ti guardava negli occhi senza chiederti nulla. Lo capiva da sola. I compagni ti telefonavano per dirti che neppure loro c’erano. Volevano cancellarti dal lavoro per sempre. Farti vergognare di fronte ai tuoi figli. Papà non lavora, non lo chiamano perché sta con quelli della Fiom. A papà lo rovina l’orgoglio, papà tene ‘a capa tosta. Bastava cambiare tessera ed era fatta. Tornavi in fabbrica, ma a testa bassa. Guarda, leggi questa…”. Ciro mi mostra la mail di un operaio costretto a strappare la tessera Fiom per essere riassunto. “E’ la prima volta che provo vergogna per quello che ho fatto…”. Ciro ricorda. “I compagni che sono stati con noi. Ecco, Carmen, 35 anni, separata con tre figli. Ogni volta che chiedeva all’assistente sociale della Fiat perché, nonostante la sua condizione non veniva chiamata, le facevano capire che per la tessera del sindacato. Carmen ha stretto la cinghia lei e i suoi figli e ha resistito. Penso a chi ha mollato e oggi era felice per noi. Penso anche alla politica che non ha capito che a Pomigliano si stava giocando la partita dei diritti e della democrazia”. Ciro, capelli rasati a zero, orecchino e tatuaggi d’ordinanza giovanile, non ce la fa a nascondere l’euforia. Franco Percuoco, il suo compagno di mille battaglie, durante la conferenza stampa del suo sindacato non ha retto. Ha visto Maurizio Landini commuoversi quando ha ringraziato gli operai di Pomigliano per i sacrifici fatti, ed è scoppiato in lacrime pure lui. E domani? “La sentenza è esecutiva – dice Ciro – gli operai che sono in fabbrica mi hanno scritto. Vi aspettiamo sulla linea. Io non vedo l’ora, ma dovremo combattere ancora. Mia moglie stamattina mi chiesto cosa avrei fatto. Mi metto la maglietta e vado a Roma, le ho risposto”. La maglietta è quella della Fiom. E’ rossa di colore e ha una scritta: “Pomigliano non si piega”. 
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2012)